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La corretta indicazione del credito di imposta nella dichiarazione è sufficiente a manifestare la volontà di richiedere il rimborso e l’Ufficio non può pretendere dal contribuente alcun altro adempimento. Peraltro si applica la prescrizione decennale. È quanto emerge dall’ordinanza n. 1146/18 pubblicata il 18 gennaio dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, che respinge il ricorso dell’Agenzia delle Entrate in controversia concernente il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IVA presentata da una società, a fronte della cessazione dell’attività.
Il Giudice di appello (nella specie, C.T.R. della Lombardia) ha accolto la domanda di rimborso, ritenendo che fosse stata tempestivamente e regolarmente presentata con il modello IVA 1998, per cui l'Ufficio aveva l'obbligo di provvedere, così come stabilito dall'articolo 30, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, ricorrendone tutti i presupposti. Ha escluso che il provvedimento di diniego potesse trovare giustificazione in ragione della mancata allegazione nei termini decadenziali di cui all'articolo 21 D.Lgs. 546/92 del modulo VR.
Rivolgendosi alla Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate, in sintesi, ha lamentato la violazione di legge, per non avere la C.T.R. rilevato la decadenza dal diritto per decorso del termine biennale ex art. 21 D.lgs. n. 546/92 e comunque la irritualità della domanda giacché non accompagnata dalla compilazione del modulo VR.
Ebbene, per la Suprema Corte la tesi dell’Agenzia fiscale non può essere condivisa e pertanto il ricorso merita di essere respinto.
Gli Ermellini hanno motivato la decisione richiamando l’ormai prevalente orientamento di legittimità secondo cui: