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Per quanto riguarda i commercialisti, la Cassa può esercitare fino al momento dell’erogazione della pensione il potere di verifica dell’esercizio continuativo della professione e, in caso di accertamento negativo, può annullare l’iscrizione con riferimento all’intero periodo, senza limiti temporali. È quanto emerge dalla sentenza n. 2967/2017 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.
La Corte d’Appello, a conferma della decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda del professionista volta all'accertamento del diritto a mantenere l'iscrizione presso la Cassa Nazionale di Previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (C.N.P.A.D.C.), per le annualità dal 1987 al 2000, rispetto alle quali il C.d.A. della stessa Cassa aveva deliberato l’annullamento per carenza di esercizio continuativo della prestazione professionale.
Il Giudice di appello ha escluso che potessero ravvisarsi elementi di illegittimità nell’esercizio del potere di verifica della Cassa, così come era da escludere che sussistessero i presupposti per la richiesta disapplicazione del contestato atto di revisione e di annullamento dell'iscrizione per le suddette annualità, fermo restando che l'esercizio del potere in oggetto non era sottoposto a termini di decadenza.
Nel successivo ricorso alla Suprema Corte il professionista ha dedotto la violazione di legge, nonché del deliberato del Comitato dei Delegati della C.N.P.A.D.C. reso in data 24.6.1994 e di quelli successivamente adottati dal medesimo organo, imputando alla Cassa la decadenza dal potere di annullamento dell’iscrizione in relazione alle annualità oggetto di controversia.
Precisamente il ricorrente ha imputato alla C.N.P.A.D.C. la tardività dell'accertamento compiuto nei suoi confronti con riferimento ad annualità di esercizio della professione di molto antecedenti al quinquennio previsto per le verifiche di competenza dell'ente di previdenza, aggiungendo che, nel caso in cui non si ravvisasse la sussistenza di un limite temporale all'esercizio del potere della Cassa previdenziale di emettere atti di annullamento delle annualità di iscrizione, in corrispondenza del limite temporale all'attività di accertamento previsto dal regolamento, si creerebbero inevitabilmente le condizioni concretizzanti le violazioni di legge denunziate nel ricorso.
Ebbene, per la Suprema Corte la tesi del professionista non è fondata.
A sensi dell'art. 22 co. 3 L. n. 21 del 1986, la Cassa accerta la sussistenza del requisito dell'esercizio della professione, periodicamente e comunque prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali, effettuando, all'atto della domanda di pensione, controlli (v. art. 20 stessa legge) finalizzati ad accertare la corrispondenza tra le comunicazioni inviatele e le dichiarazioni annuali dei redditi e del volume di affari degli ultimi quindici anni, anche per conoscere elementi rilevanti quanto all'iscrizione e alla contribuzione.
I Giudici della Sezione Lavoro osservano che, “negandosi alla Cassa qualsivoglia verifica proprio nel momento in cui deve erogare il trattamento di maggior impegno economico (quello pensionistico), si perverrebbe ad un singolare esito interpretativo: nessuno potrebbe più verificare il continuativo esercizio della professione di dottore commercialista, che pur costituisce, in realtà, un autonomo requisito per l'iscrizione non solo all'albo, ma anche alla Cassa (v. artt. 2 L. n. 100 del 1963 e L. n. 21 del 1986, art. 22). Il suo accertamento non avviene una volta per tutte, ma va reiterato nel corso del tempo, se è vero come è vero che ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 22, comma 3 cit. la Cassa ne effettua controlli periodici e comunque prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali.”
Nella giurisprudenza di legittimità si è sostenuto che ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia a carico della C.N.P.A.D.C., atteso che, ex art. 22 L. 21/86, l’accertamento del requisito dell'esercizio della professione deve essere compiuto periodicamente e, comunque, prima dell'erogazione dei trattamenti previdenziali e assistenziali, “in caso di accertamento negativo, effettuato (come nella specie) prima dell'erogazione, è legittima la cancellazione dell'assicurato con riferimento all'intero periodo, senza limiti temporali, non trovando applicazione l'art. 8 del d.P.R. n. 818 del 1957 (secondo il quale debbono essere accreditati agli effetti del diritto alle prestazioni assicurative i contributi indebitamente versati allorché l'accertamento dell'indebito versamento intervenga dopo oltre cinque anni), che presuppone l'esistenza di un rapporto di assicurazione generale obbligatoria con l'Inps." (Cass. Sez. Lav. n. 7830/2005).
Nel caso di specie è dunque corretto il risultato cui sono pervenuti i giudici di merito “nell'escludere che la prevista periodicità quinquennale (durata indicativa contemplata dal provvedimento del Comitato dei Delegati della Cassa del 24.6.1994) delle verifiche prima dell'erogazione dei trattamenti possa comportare anche una decadenza dall'esercizio dei relativi poteri in mancanza di una norma espressa che stabilisca un preciso termine di decadenza.” Gli Ermellini spiegano che la natura tassativa delle cause di decadenza dall'esercizio di diritti in genere, ivi compresi quelli di carattere potestativo, stante la conseguenza della perentorietà del relativo termine, postula necessariamente un’espressa e inequivoca previsione di fonte normativa che nella fattispecie non è data desumere dalle norme sopra richiamate.
Il ricorso, pertanto, è stato rigettato, con condanna del professionista al pagamento delle spese del giudizio.