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Burocrazia fiscale: condanna tutta italiana

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici,
Poveri noi. Poveri noi e poveri i nostri clienti.

Prepariamoci all’ennesima giornata di rincorsa delle scadenze. Prepariamoci ad impegnare, come sempre, gran parte del nostro tempo a favore del nostro socio di maggioranza, lo Stato. E non mi riferisco in questa sede al carico tributario (per quanto anche su questo punto molto ci sarebbe da dire), bensì ai dati recentemente diffusi in merito al tempo che viene richiesto agli imprenditori per adempiere a quanto richiesto in ambito tributario e contabile.

Il riferimento è alle 269 ore di lavoro annuali che, secondo la Corte dei Conti, un’impresa di medie dimensioni deve dedicare agli adempimenti fiscali. Detto in altri termini, quasi un’ora al giorno viene ‘investita’ in fisco e affini, per poter pagare il giusto e, possibilmente, evitare di incorrere in sanzioni. Eh sì, possibilmente… perché nonostante tutto l’impegno profuso dalle aziende e dai loro consulenti, come se già non fosse uno sforzo sproporzionato, il rischio concreto è che - nemmeno così facendo - si possano dormire sonni tranquilli, visto che spesso si ‘naviga a vista’, in assenza di normative limpide.

Pensiamo al caso simbolo, la rivoluzione della contabilità semplificata, in attesa di una circolare esplicativa da oltre cento giorni. Ma non solo, pensiamo a coloro che operano abitualmente con l’estero, che hanno dovuto riemettere le dichiarazioni di intento perché in corso d’anno si è cambiata la normativa. L’elenco sarebbe lungo, troppo lungo.

L’aberrante regime fiscale, pieno di passaggi tortuosi e spesso inutili, è una delle zavorre del sistema Italia.

Troppi adempimenti, troppe scadenze, troppe complicazioni. Tutto questo pesa esageratamente sulle imprese - non è difficile immaginare quali migliori impieghi potrebbe trovare quell’ora giornaliera passata correndo dietro alle ‘scartoffie’ – e non avvantaggia certamente i professionisti. Sfatiamo una volta per tutte la concezione che tutto questo faccia buon gioco ai commercialisti ed affini. Tutto questo fa solo perdere tempo, a tutti, anche al consulente, che si vede costretto a seguire i clienti in primis per la burocrazia, e poi, in subordine, e solo se avanza qualche minuto, per la consulenza, che invece dovrebbe essere il cuore pulsante della professione.

C’è qualcosa, anzi, c’è molto, moltissimo, che non va. Quanto meno quel maggior 50% (cinquantapercento!) di tempo richiesto dal fisco alle aziende rispetto alle omologhe europee, perché è anche questo quello che viene dimostrato dai dati.

Lo sappiamo da tempo, ce ne lamentiamo da tempo, ma ormai sembra quasi che sia una delle caratteristiche italiane, una di quelle cose sgradevoli cui siamo talmente abituati da non lamentarcene quasi più. Accogliamo le circolari da trecento pagine per la compilazione del 730 come se fosse una cosa normale, anzi, esultiamo.

Aspettiamo i chiarimenti come un dono del cielo. E tra norme, riforme, circolari, interpretazioni e comunicati stampa viviamo quotidianamente in un labirinto le cui pareti mutano continuamente, supini i contribuenti e supini i consulenti, tra l’indifferenza generale degli addetti ai lavori. D’altra parte - ormai è caduto ogni velo sul punto - l’importante è fare gettito, perché siamo ad un passo dal baratro.

Scrive ancora la Corte dei Conti: “Se è indubbio che (il gran numero delle norme introdotte) ha impresso forti accelerazioni alla dinamica delle entrate, non altrettanto sembra potersi dire circa la sua efficacia nel rafforzare strutturalmente la tenuta del sistema tributario”.

Per una volta lo dice la Corte dei Conti, non il populista-piagnone Gigliotti. Si chiuderanno gli occhi anche in questo caso?
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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