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Vot’Antonio…vot’Antonio la trippa

Autore: Direttore Antonio Gigliotti
«Vot'Antonio, Vot'Antonio, Vot'Antonio» è lo slogan che per l'intera pellicola Antonio La Trippa – l'indimenticabile Totò nazionale – declama dalla finestra, utilizzando un imbuto a mo' di megafono.

Ne "Gli onorevoli", elogio alla brillante comicità del Bel Paese, cinque candidati alle elezioni si contendono l'ambìto titolo e, tra grotteschi comizi e una bislacca popaganda, mettono in scena il derisorio teatrino della politica italiana. E come un nietzschiano eterno ritorno all'uguale, oggi, a distanza di quasi settanta anni, è lampante l'ironico richiamo alla trama cinematografica.

È facile identificarsi nella esagitata platea che assiste in fibrillazione alla pirandelliana disputa elettorale, certa che l'elezione di uno dei candidati concorrenti possa addurre benefici alla comunità e far rifiorire lo status quo. Il film si dipana con il coinvolgimento dei cinque avversari in tragicomiche disavventure che non porteranno ad altro se non alla burlesca disfatta politica.

Questo straordinario ritratto dell'Italia di 60 anni fa, ci riporta, ahinoi, all'attualità. Il tono del film è grottesco, ma le macchiette che ne vengono fuori sono tristemente realistiche e il confronto con le vicende che stanno interessando il Quirinale in questi esagitati giorni diventa inoppugnabile.

Se non fosse per le pietose conseguenze, l'inopportuno e tenace utilizzo del titolo di "onorevole" ci strapperebbe pure un sorriso. Se poi scavassimo ancora più in profondità, e vestissimo i panni di etimologi, l'improprio utilizzo del nobiliare appellativo sarebbe ancora più innegabile. L'origine dell'etimo, infatti, risale al lontano 1948, anno in cui il fregio di “onorevole” era gratuito e rappresentava un segno di riconoscimento dei membri delle due Camere legislative elette dal popolo. Dopo l'unificazione del Paese, le poltrone del parlamento furono occupate da avvocati, notai, medici e persone di "basso rango".

Intercettato il disagio della "gente comune" nel sedere accanto a principi, duchi, marchesi e baroni, l'allora primo ministro, il conte Camillo Benso di Cavour, ben pensò di fregiare tutti i deputati del titolo di “onorevole”.

L'idea era quella di contrassegnare l'onore, la stima e il rispetto che meritava "la gente comune", al pari di chi il titolo gentilizio lo aveva eriditato dalla nascita. Ed è da allora che del titolo di “onorevole” hanno continuato ad abusare i nostri parlamentari per circa 78 anni. Almeno fino al 1939, quando l'allora segretario del Partito Nazionale Fascista, Starace, decise di abolirlo col Foglio d’Ordini n. 1277 e di sostituirlo col titolo di “consigliere nazionale”.

Dopo la caduta del fascismo e la conseguente nascita della Repubblica, i deputati “democratici” hanno ripreso a fregiarsi di questo “inappropriato” titolo, che appare ancora più inopportuno se calato alle odierne farse pseudopolitiche.

Cosa è rimasto di veramente "onorevole" ai nostri deputati che, anzi, si distinguono in Europa per mancanza dello stesso?

Cosa ci spinge ancora a prostrarci a un lessico di chiaro stampo mafioso pronto a uccidere pur di non essere infangato?

Cosa ci tiene ancora legati a un concetto il cui solo merito è quello di essere genuinamente popolare? Eppure già agli arbori degli anni '80 un avanguardista Sciascia soleva rivolgersi ai propri "vicini di banco" con “signori deputati”, “colleghi” o “signori colleghi”. Mai con “onorevoli colleghi”.

Che il padre de "il giorno della civetta" non avesse già recepito lo sconveniente e quanto mai fuorviante stemma araldico?

Lo scittore di Recalmuto si starà di certo rivoltando nella tomba durante queste esilarti giornate, durante le quali si assiste inermi a una delle più eclatanti forme di prostituzione politica degli ultimi anni. Impietosi teatrini durante i quali battibecchi e urla fanno da padroni, infantili diverbi accusatori i cui contenuti non sono altro che biasimi rispetto all'operato dell'opposizione, intimidatorie dimissioni avanzate a mo' di ricatto se non ci si piega alle prefigurate volontà.

E cosa rimane di onorevole in questo? Per concludere con lo stesso piglio con il quale si è cominciato, "Scusate la mia ignoranza in questa specie di politica, ma io so che il deputato deve fare gli interessi dell’elettore. Di colui che gli ha dato la fiducia e il voto" direbbe Antonio La Trippa, e noi non possiamo che essere d'accordo con lui.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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