Premessa – Un adempimento che spesso induce in errore i datori di lavoro è la spettanza o meno delle prestazioni familiari e il loro momento di liquidazione, specie per i lavoratori che svolgono attività di lavoro subordinato in uno Stato estero. Infatti, non è facile muoversi tra regolamenti comunitari, convenzioni e accordi bilaterali tra Paesi, e capire quale Stato è responsabile della loro erogazione e quali sono le condizioni per poterne beneficiare. Prima di entrare nel dettaglio, si specifica che il lavoratore subordinato soggetto alla legislazione di un Paese UE ha diritto, anche qualora i familiari risiedano nel territorio di un altro Stato membro, alle prestazioni familiari previste dalla legislazione del primo Stato, come se il nucleo familiare risiedesse nel territorio di questo. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di fare chiarezza.
Il nucleo familiare – Innanzitutto, appare opportuno capire come sono considerati i familiari del cittadino straniero dal punto di vista del nucleo familiare. Dunque, i familiari del cittadino straniero, che lavora o gode di pensione in Italia: se residenti in Italia, sono considerati componenti del nucleo; se residenti all'estero, sono compresi nel nucleo solo se chi richiede l'assegno è cittadino di uno Stato dell’Unione Europea, o di uno Stato in cui esistano condizioni di reciprocità, oppure qualora siano in vigore convenzioni territoriali con l'Italia in materia di sicurezza sociale, che prevedano anche le prestazioni di famiglia. In caso di residenza all'estero, prima di presentare la domanda di assegno per il nucleo familiare in Italia è comunque necessario ottenere l'apposita autorizzazione dall'INPS.
I componenti – Ciò detto, si elencano i componenti del nucleo familiare ai fini dell’ANF. Dunque, oltre al richiedente, troviamo: i familiari anche se non conviventi e residenti con il richiedente o residenti all’estero; il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; i figli ed equiparati con meno di 18 anni o inabili di qualunque età; fratelli, sorelle e nipoti collaterali orfani di entrambi i genitori e non aventi diritto alla pensione, ai superstiti, se di età inferiore ai 18 anni o maggiorenni inabili; nipoti diretti, se di età inferiore ai 18 anni, anche se non formalmente affidati all’ascendente e non orfani.
Accordi e Convenzioni con l’Italia – Nel ricordare che i Regolamenti Europei di Sicurezza sociale sono applicati, oltre che dai Paesi membri, anche dai paesi SEE (Svizzera, Norvegia, Islanda, Liechtenstein), si elencano di seguito i Paesi che hanno stipulato con l’Italia Accordi e Convenzioni in materia di prestazioni familiari: Australia, Bosnia Erzegovina, Canada Capoverde, Macedonia, Montenegro Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Serbia, Tunisia (massimo 4 figli e una moglie), USA e Uruguay. Va da sé che se il Paese di residenza dei familiari non rientra in nessuno dei suddetti Paesi, gli stessi non possono essere considerati componenti del nucleo familiare ai fini Anf.
Inquadramento status – Per individuare il Paese che è tenuto a erogare le prestazioni previdenziali a favore di chi lavora all’estero, occorre determinare lo status del lavoratore e del luogo di residenza di quest’ultimo. Da notare che qualora il lavoratore si trasferisse in un altro Paese dell’UE, ha diritto alla copertura del sistema previdenziale locale ed è quindi soggetto al regime di prestazioni familiari previsto in quel paese. Differente è il discorso in caso di distacco all’estero. In quest’ultimo caso, infatti, il lavoratore rimane “in carico” al regime previdenziale del suo Paese di origine; di conseguenza, va valutato anche il paese di residenza dei familiari a carico, se diverso da quello in cui si svolge la prestazione lavorativa. A tal proposito, vale la pena specificare che nel caso in cui un lavoratore che percepisca due tipologie di reddito da due Stati distinti ovvero di due coniugi che si trovino a prestare attività lavorativa in due Paesi diversi, il diritto alla prestazione va valutato sulla base delle cosiddette “regole di priorità”, partendo comunque dal presupposto che, in caso di discipline diverse, il lavoratore ha sempre diritto a ricevere il massimo delle prestazioni previste dai due Paesi.