4 novembre 2013

Assunzioni under30. Contributo o agevolazione contributiva?

I CdL mettono in rilievo alcune criticità interpretative della circolare applicativa dell’INPS rispetto al dettato normativo previsto dal recente D.L. lavoro
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – La Fondazione Studi CdL, con la circolare n. 14/2013, ha fornito un’attenta analisi in merito all’assunzione di giovani tra i 18 e i 29 anni, introdotta dall’art. 1 del D.L. n. 76/2013, convertito nella L. n. 99/2013. In particolare, il disposto normativo richiamato viene confrontato con le istruzioni operative descritte dall’INPS (circolare n. 131/2013), che introduce alcune restrizioni non riscontrabili nel testo normativo. Infatti, l’Istituto previdenziale interpreta l’incentivo come un’agevolazione contributiva. Ma vediamo più da vicino questa impercettibile, ma importante differenza rilevata dai consulenti del lavoro.

L’incentivo – Innanzitutto, ricordiamo che stiamo parlando dell’incentivo introdotto dal recente decreto lavoro (D.L. n. 76/2013, convertito nella L. n. 99/2013), rivolto ai datori di lavoro che assumono giovani under 30 (compresi fra i 18 e i 29 anni) che abbiano alternativamente una delle seguenti caratteristiche: siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi; siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. Restano, invece, escluse dall’agevolazione in commento le assunzioni per lavoro domestico.

La problematica – In particolare, il problema sollevato dai CdL sta nella diversa interpretazione data dall’INPS rispetto al dettato normativo. Quest’ultimo, infatti, all’art. 1, c.1 recita che “al fine di promuovere forme di occupazione stabile di giovani fino a 29 anni di età [...]è istituito [...] un incentivo per i datori di lavoro [...]. c.4 – “L'incentivo è pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali [...]”. Nella circolare n. 131/2013 (punto 6) dell’INPS, invece, viene descritto quanto segue “nell’eventualità in cui sussistano sia i presupposti di applicazione dell’incentivo previsto dall’articolo 1 del dl 76/2013 sia i presupposti di applicazione di incentivi previsti da altre disposizioni sotto forma di riduzione contributiva in senso stretto (esempio riduzioni ex art. 25, co. 9, l. 223/1991), l’incentivo previsto dall’articolo 1 del dl 76/2013 è applicabile mensilmente in misura non superiore alla contribuzione agevolata dovuta dal datore di lavoro per il medesimo lavoratore”. La differenza è sostanziale. Infatti, il testo normativo parla chiaramente di un incentivo alle assunzioni, commisurato alla retribuzione dovuta al lavoratore e di importo massimo pari a € 650. Tale incentivo può essere assimilato a un contributo erogato per l’occupazione stabile di lavoratori ricadenti in una determinata fascia di età e di situazione personale. L’INPS, invece, prevede ulteriori restrizioni, non riscontrabili nel dettato normativo. Di fatti, l’incentivo viene interpretato quale agevolazione contributiva, prevedendo, quindi, che la stessa non possa essere applicata in misura superiore alla contribuzione dovuta dal datore di lavoro per il lavoratore.

La differenza – Per meglio comprendere la differenza tra erogazione contributo e agevolazione contributiva, gli esperti della Fondazione Studi richiamano la L. n. 223/91, la quale prevede, in caso di assunzione di lavoratore percettore di indennità di mobilità, sia un’agevolazione contributiva che l’erogazione di un contributo mensile, assimilabile all’incentivo in analisi. Infatti, l’art. 8, c. 4 della L. n. 223/1991 recita come segue: “Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore”. L’art. 25, c.9 prevede invece che “per ciascun lavoratore iscritto nella lista di mobilità assunto a tempo indeterminato, la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro, è per i primi diciotto mesi, quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni”.

Le conclusioni dei CdL – Alla luce delle suddette disposizioni, i CdL sottolineano come l’INPS abbia dato sicuramente un’interpretazione forzata che si discosta molto dal dettato normativo. La stesura adottata, infatti, porta ad avere, a latere della contribuzione dovuta per il lavoratore – sia questa ordinaria che agevolata – un incentivo che si muoverà su binari autonomi. La contribuzione dovuta dall’azienda, stante la ratio sott’intesa, non potrà mai essere negativa, anche a seguito del riconoscimento di un’agevolazione, la stessa potrà, al massimo, portare ad azzerare la contribuzione. L’incentivo in analisi è invece “una riduzione dell’onere economico patrimoniale” in senso più ampio, non contingentata all’onere contributivo maturato mensilmente in capo al datore di lavoro. Non deve nemmeno trarre in inganno – continuano i CdL - il metodo di calcolo dell’incentivo stesso. Infatti anche se la determinazione è attuata in percentuale sull’imponibile contributivo, metodo di calcolo assimilabile alla determinazione della contribuzione dovuta dal datore di lavoro, lo stesso risulta, per espressa previsione legale, un incentivo e non abbattimento della quota di contribuzione. In base alle scelte del legislatore, i metodi di calcolo possono essere vari: nel caso di riassunzione percettore di indennità di mobilità è una percentuale dell’indennità percepita dal lavoratore; in caso di rioccupazione percettore ASpI è una percentuale dell’indennità erogata allo stesso; per rioccupazione lavoratori licenziati per GMO nei 12 mesi precedenti si tratterà di € 190 mensili; nel caso in analisi si parla di un terzo della retribuzione imponibile mensile.

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