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Premessa – Un lavoratore assente dal proprio domicilio durante il periodo di malattia può essere legittimamente licenziato dal datore di lavoro se il suo comportamento determina una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4559 del 22 febbraio 2013, che rafforzando un orientamento già noto in sede di legittimità, avvalora la fondatezza del licenziamento nel caso in cui lo svolgimento di un’altra attività da parte del dipendente, durante il periodo di malattia, non solo è incompatibile con la patologia dichiarata per giustificare l’assenza dal lavoro, ma costituisce anche indice di scarsa attenzione per la propria salute mettendo a repentaglio la possibilità di guarigione.
La vicenda – Un lavoratore, che aveva denunciato uno stato di malattia per mal di schiena, è stato sorpreso durante una battuta di caccia con gli amici, assumendo posture inadatte alla patologia descritta.
La sentenza – La Suprema Corte ha giudicato valido il licenziamento intimato dal datore di lavoro, spiegando che il lavoratore assente dal proprio domicilio durante il periodo di malattia può essere licenziato e il suo comportamento determina una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Inoltre, la valutazione circa la gravità dell’inadempimento deve essere compiuta ex ante, nel senso che lo svolgimento dell’attività esterna da parte del dipendente non solo deve essere di per sé sufficiente a far presumere che non ci fosse malattia, ma anche che la stessa abbia potuto pregiudicare la guarigione tempestiva del lavoratore ritardandone così il suo rientro al lavoro. Ne consegue che la valutazione sulla natura pregiudizievole di tale attività, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui dall’esame del ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, oppure un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate.