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Lo svolgimento di altre attività da parte del dipendente durante l'assenza per malattia, se mette in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore, per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia, integra violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e dei doveri di correttezza e buona fede, legittimando il licenziamento.
Lo svolgimento di altre attività da parte del dipendente durante l'assenza per malattia, integra violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e dei doveri di correttezza e buona fede, se mette in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore, per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia.
Non c’è un divieto assoluto di svolgere altre attività durante la malattia, ma tali attività possono essere disciplinarmente rilevanti se presumono la simulazione della malattia o se, valutate rispetto alla natura dell’infermità e alle prescrizioni mediche, possono potenzialmente ritardare o compromettere la guarigione.
La valutazione in merito alla potenzialità del pregiudizio è un giudizio di fatto riservato al Giudice di merito
È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 11154/2025 della Corte di cassazione (Sez. L).
 
La Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza di secondo grado che ha dichiarato illegittimo - per sproporzione tra la sanzione e l'infrazione disciplinare - il licenziamento comminato a un lavoratore infortunatosi al braccio, in ragione dello svolgimento di attività ludiche durante l'assenza per malattia.
Le indagini investigative compiute dal Datore di lavoro hanno dato conto di una serie variegata di attività che, poiché compiute senza alcun tutore o fasciatura, hanno esposto a rischio di peggioramento le condizioni di salute, tenuto conto delle prescrizioni mediche che indicavano il riposo e l'immobilizzazione dell'arto.
 
Gli “Ermellini”, nel rigettare il ricorso originario del lavoratore – decidendo nel merito - hanno sottolineato che in materia di svolgimento di attività extra lavorativa da parte del dipendente durante l’assenza per malattia, la giurisprudenza di legittimità - con statuizioni ormai consolidate – ha affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare altra attività, anche a favore di terzi, in costanza di assenza per malattia, sicché ciò non costituisce, di per sé, inadempimento degli obblighi imposti al prestatore d’opera (tra le più recenti, che confermano le pronunce più datate, cfr. Cass. n. 15621/2001; Cass. n. 6047/2018, Cass. n. 13063/2022).
Nel contempo, è stato precisato che il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante ma può anche giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura e alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (tra molte: Cass. n. 1747/1991; Cass. n. 9474/2009; Cass. n. 21253/2012; Cass. n. 17625/2014; Cass., n. 24812/2016; Cass. n. 21667/2017; Cass. n. 13980/2020; Cass. n. 13063/2022; Cass. n. 12152/2024).
Durante il periodo di sospensione del rapporto determinato dalla malattia permangono in capo al lavoratore tutti gli obblighi inerenti allo svolgimento della prestazione; tra gli altri, anche gli obblighi di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c., oltre che gli obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr. Cass. n. 7915/1991), obblighi che fanno da contraltare al rischio, assunto dal datore di lavoro, della temporanea impossibilità lavorativa dovuta a infermità (Cass. n. 10706/2008; Cass. n. 14046/2005; Cass. n. 1591672000).
Insomma, su ciascuna delle parti contrattuali incombe il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. n. 14726/2002; Cass. SS.UU. n. 28056/2008; Cass. n. 6497/2021).
In tale prospettiva assume peculiare rilievo l’eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall’infermità, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati, sia che si intenda tale dovere quale riflesso preparatorio e strumentale dello specifico obbligo di diligenza, sia che lo si collochi nell’ambito dei più generali doveri di protezione scaturenti dalle clausole di correttezza e buona fede in executivis, evitando comportamenti che mettano in pericolo l’adempimento dell’obbligazione principale del lavoratore per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia (v. Cass. n. 13063/2022).
La valutazione del Giudice di merito, in ordine all’incidenza sulla guarigione dell’altra attività accertata, è costituita da un giudizio ex ante, riferito al momento in cui il comportamento contestato si è tenuto e ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con la conseguenza che, ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante (v. Cass. n. 14046 del 2005; conf., Cass. n. 24812 del 2016 e altre).
 
Nel caso di specie, la Corte di secondo grado, pur avendo accertato che «la serie variegata di attività compiute da persona priva di qualsiasi tutore/fasciatura al braccio destro» aveva esposto a rischio di peggioramento le condizioni di salute del ricorrente, tenuto conto delle prescrizioni mediche che indicavano il riposo e l’immobilizzazione dell’arto, non si è conformata ai richiamati principi, laddove ha ritenuto non assolto da parte del Datore di lavoro l’onere della prova, su di lui incombente, circa l’idoneità potenziale della diversa attività posta in essere dal dipendente a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Precisamente, la Corte territoriale ha rilevato che non era stata fornita la prova del concreto aggravamento della malattia conseguente alla disinvolta e pericolosa condotta posta in essere dal lavoratore, con conseguente difetto di proporzionalità tra sanzione espulsiva e infrazione disciplinare. Ha quindi applicato la c.d. tutela risarcitoria forte, con estinzione del rapporto di lavoro e condanna della società al pagamento di 13 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Nel giudizio di legittimità ha trovato ingresso la deduzione dell’azienda (quale ricorrente incidentale), relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2094, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., avendo la Corte territoriale errato nel ritenere sproporzionata la sanzione del licenziamento, in quanto il lavoratore ha posto in essere condotte, nel periodo di malattia, che potevano ledere l’interesse del Datore di lavoro.
 
 
La Suprema Corte, in conclusione, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda del lavoratore.
 
Lo svolgimento di un’attività extra-lavorativa durante un periodo di malattia costituisce automaticamente causa legittima di licenziamento?
No. Non è vietato in assoluto; può giustificare il licenziamento solo se si dimostra la simulazione della malattia oppure se — valutata in relazione alla natura dell’infermità — è idonea a pregiudicare o ritardare (anche potenzialmente) la guarigione e il rientro in servizio.
Chi valuta se l’attività svolta dal lavoratore, durante la malattia, fosse potenzialmente pregiudizievole per la guarigione?
Il giudice del merito valuta tale questione con un giudizio “ex ante”; egli può discostarsi dalle conclusioni della CTU medico-legale favorevole alla tesi dell’incolpato, ma in tal caso deve adeguatamente spiegare il perché ritenga sussistente la potenzialità lesiva dei comportamenti adottati - durante la malattia - dal lavoratore.
Se il datore di lavoro prova che l’attività del dipendente era potenzialmente dannosa per la guarigione ma non si prova un concreto aggravamento della malattia, il licenziamento è illegittimo?
No. Il licenziamento può essere legittimo anche per illecito di pericolo (potenzialità di pregiudizio); tuttavia occorre valutare la proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione: se la sanzione è sproporzionata può determinarsi la tutela risarcitoria.
 
Giuseppe Verdi, dipendente in malattia a causa di una contusione/frattura al polso destro, riceve certificato medico con prescrizione di “immobilizzazione e riposo dell’arto per 30 giorni”, ma durante l’assenza dal lavoro posta sui social video in cui gioca a calcetto e svolge altre attività ludiche.
Il Datore indaga, avvia un procedimento disciplinare e, ritenuta la condotta incompatibile con le prescrizioni mediche e con gli obblighi di diligenza e correttezza, intima il licenziamento per giusta causa.
Giuseppe impugna la sanzione espulsiva e allega un accertamento medico-legale di parte che attesta che le attività extralavorative contestategli non hanno causato un peggioramento clinico e, pertanto, eccepisce che il licenziamento è illegittimo.
Ebbene, se emerge la prova (video, testimoni etc.) dell’incompatibilità dell’attività ludica con le prescrizioni mediche, il comportamento è potenzialmente lesivo, sicché il licenziamento può considerarsi legittimo anche se non c’è aggravamento concreto. La partita di calcetto, con salti e contrasti, poteva ragionevolmente ritardare la guarigione e la ripresa del lavoro.
(prezzi IVA esclusa)