Premessa – La Fondazione Nazionale Commercialisti in un recente studio sulle politiche attive del lavoro da avviare specie nel trasferimento di aziende insolventi, ha avanzato una proposta emendativa volta a rafforzare ulteriormente il quadro normativo domestico deputato a favorire la commerciabilità dell’azienda, quindi la salvaguardia, almeno parziale, dei livelli occupazionali, volti a superare le criticità legate ai principi stringenti fissati in materia dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012). A tal fine, viene evidenziato come è indispensabile intervenire sugli specifici benefici contributivi; ciò non solo comporterebbe un’ottimizzazione della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali, ma risponderebbe anche all’invito rivolto al nostro Paese, dagli organi europei, a investire più risorse in politiche attive e meno in politiche passive, troppo spesso fini a sé stesse.
Disciplina derogatoria – All’art. 47, commi 4 bis e 5, della L. n. 428/1990 il Legislatore interno ha messo a disposizione alle aziende insolventi trasferite un percorso normativo che permette agli stessi, in presenza di precise condizioni, di poter derogare alla disciplina lavoristica ex art. 2112 c.c. e, dunque, alla continuità giuridica dei rapporti di lavoro, alla solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori esistenti all’atto del trasferimento, nonché all’obbligo di applicazione, almeno fino alla loro scadenza, della contrattazione collettiva del cedente, qualora il cessionario non applichi alcun contratto collettivo. Tutto comporta indubbiamente un sacrificio sul piano delle garanzie individuali apprestate dal legislatore a favore dei lavoratori subordinati coinvolti in un processo traslativo endoconcorsuale, a fronte, però, di un beneficio collettivo connesso alla tutela, almeno parziale, dei posti di lavoro, cosicché i lavoratori rilevano non come singoli, ma come componenti di una collettività. Sul punto, la Fondazione Nazionale dei Commercialisti prima di entrare nel merito della disciplina lavoristica interna, intende effettuare due precisazioni: innanzitutto, ritiene che pure gli operatori delle procedure concorsuali, onde poter ricorrere legittimamente alla disciplina derogatoria fissata dall’art. 47, commi 4 bis e 5, della L. n. 428/1990, all’atto del trasferimento devono sempre verificare che oggetto dell’operazione circolatoria sia comunque un’azienda, o parte di essa, rilevando, quindi, non solo l’aspetto squisitamente statico (azienda), ma anche quello dinamico (esercizio dell’impresa); inoltre, viene sottolineata la necessità di raggiungere un accordo collettivo trilaterale, tra cedente, cessionario e organizzazioni sindacali dei lavoratori, idoneo a costituire norma derogatoria alla fattispecie, per cui qualora lo stesso non risultasse perfezionato, troverà applicazione la disciplina generale.
Disciplina interna – La normativa lavoristica in deroga interna ha subito recentemente un intervento emendativo a seguito della sentenza della Corte di giustizia europea 11 giugno 2009, causa C-561/07, in ragione della quale l’Italia è stata condannato per aver violato gli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva n. 2001/23 in materia di tutela dei diritti dei lavoratori subordinati in caso di trasferimento d’azienda. Nello specifico, la questione è sorta in ragione del fatto che la Repubblica italiana, a norma dell’art. 47, c. 5, L. n. 428/1990 consentiva, in presenza di uno stato di “crisi aziendale” ex art. 2, c. 5, lett. c), L. n. 675/1977, la deroga tout court alle tutele individuali, legittimando in tal modo - impropriamente – il ricorso al trattamento normativo di favore anche alle imprese in bonis, pur non essendo la procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale tesa a un fine analogo a quello perseguito nell’ambito di una procedura di insolvenza, né che essa si trovi sotto il controllo di un’autorità pubblica competente, caratteristica peculiare di un procedimento concorsuale. In realtà, sottolinea lo studio della Fondazione, le ragioni dell’intervento emendativo interno non possono assolutamente ascriversi alla scorretta equiparazione dello stato di crisi a quello di insolvenza, bensì, in ragione di un disegno più complesso e articolato, all’opportunità per il nostro legislatore di creare un sistema organico e integrato di norme interne che, seppure appartenenti a ordinamenti differenti (lavoristico e fallimentare), operino in stretta connessione tra di loro, avendo come obiettivo comune il risanamento dell’impresa e il superamento della crisi aziendale, in uno con la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Osservazioni finali – In conclusione, la Fondazione Nazionale dei Commercialisti evidenzia che a prescindere dalla non certa compatibilità della norma interna con quella europea, resta il fatto che, per entrambi i livelli ordinamentali, in presenza di imprese assoggettate a procedure di insolvenza, in caso di operazioni circolatorie endoconcorsuali è possibile attivare meccanismi che consentono di derogare alle tutele individuali apprestate a favore dei lavoratori subordinati. Quindi, onde rafforzare il fine comune pubblicistico di salvaguardia delle componenti positive dell’azienda, secondo i Commercialisti può tornare utile, congiuntamente ai benefici normativi ed economici previsti, intervenire in materia di politiche attive del lavoro attraverso la previsione di specifici benefici contributivi, risolvendo così le criticità legate ai principi stringenti fissati in materia dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012) e dalla giurisprudenza, che altro scopo non avrebbero se non quello di agevolare il più possibile il mantenimento dei livelli occupazionali. Tale tesi sposerebbe appieno la finalità delle stesse politiche attive che è quella di favorire non solo l’inserimento, ma anche il reinserimento del lavoratore nel mercato del lavoro, con l’obiettivo di incidere positivamente sui tassi di attività e di occupazione.