15 novembre 2011

Confindustria: Ok disoccupati, giù attivi

Presentata indagine su “mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo”
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – Confindustria, in data 5 ottobre 2011, ha presentato il testo riguardante il “mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo”, promossa dalla XI Commissione lavoro della Camera dei Deputati. L’analisi è volta ad indagare sostanzialmente tre ambiti, ovvero: la mancata rispondenza della forza lavoro alle professionalità richieste dal mercato (skill mismatches), nonché l’obsolescenza professionale della stessa (skill gap), la formazione professionale e l’inserimento lavorativo dei giovani, con particolare attenzione alle forme contrattuali flessibili. Analizziamo ora, brevemente, ciascun ambito indagato.

Skill gap e skill mismatching – Il primo argomento dell’indagine è quello relativo all’obsolescenza professionale della forza lavoro, il cosiddetto “skill gap”. L’indagine vuole considerare il fenomeno non solo per la componente di lavoro già presente sul territorio nazionale, ma anche per quella straniera. In particolare, l’analisi mette in luce il possibile fenomeno di depauperamento del capitale umano, con particolare riferimento ai disoccupati di lungo periodo, non più aggiornati sul piano tecnologico. Al riguardo, a causa della crisi economica-finanziaria del 2007, oltre alla diminuzione della disoccupazione, in particolare di lunga durata, è anche diminuita la partecipazione al mercato del lavoro. Infatti, la quota di individui in percentuale della popolazione tra i 15 e i 64 anni è scesa al 62,2%, da un già basso 63% a fine 2007.

La formazione professionale – Il secondo argomento dell’indagine condotta da Confindustria, mette in luce che a partire dal 2020 ci sarà una crescita di tutte le occupazioni o professioni caratterizzate da un forte contenuto di conoscenza e specializzazione tecnico-professionale, cioè che avranno bisogno di livelli di specializzazione elevati. In particolare, si prevede che il complesso delle posizioni lavorative richiederà un 38% di occupati con elevata qualificazione formale, circa un 51% con istruzione/formazione intermedia di tipo tecnico/professionale e solo un 11% di persone con bassi livelli di qualificazione. Non intervenendo sui trend in corso si rischia, appunto, di registrare forti mismatches. Secondo alcune previsioni, avremo dei bassi livelli di offerta pari al 25% a fronte di una domanda di 11 punti percentuali, mentre un’offerta del 23% non sarà in grado di soddisfare domanda di occupati con livelli superiori di formazione del 38%. Non solo occorrerà invertire questo trend, ma anche adottare politiche capaci di attrarre giovani di talento in Italia e ciò per alcune evidenti ragioni: la popolazione invecchia, il grado di istruzione universitaria è basso, abbiamo una delle più basse quote di laureati in materie scientifiche/tecnologiche rispetto agli altri Paesi, è basso il tasso di iscrizione ai percorsi di istruzione secondaria, mancano professionalità tecniche, infine è basso il tasso di partecipazione a programmi di lifelong learning.

L’inserimento lavorativo dei giovani – Terzo e ultimo ambito indagato è quello relativo all’inserimento lavorativo dei giovani. Dall’indagine è possibile notare che i giovani italiani, rispetto ai coetanei di altri Paesi, incontrano il lavoro in età troppo avanzata e con conoscenze poco spendibili anche per l’assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro, in ragione del noto pregiudizio che vuole che chi studia non lavori e che chi lavora non studi. In particolare, i nostri giovani entrano nel mercato del lavoro mediamente tre anni dopo i loro coetanei europei, pagando inevitabilmente il prezzo elevato di uno squilibrio generazionale di opportunità economiche e sociali, che rende difficili l’occupazione e l’autonomia di reddito. Secondo i dati presentati nell’ultimo rapporto Censis, i giovani occupati a tempo determinato in Italia sono il 40,1% nella classe di età 15-24 anni e l’11,5% tra i 25-39 anni, meno che negli altri Paesi europei. Infine, è stato addirittura stabilito che i giovani di oggi in Italia costituiscono la prima generazione che, dopo oltre un secolo di crescita quasi ininterrotta, avranno redditi e tenori di vita inferiori a quelli dei loro padri.

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