Premessa – Il medico che si trova in congedo retribuito per assistere la madre, portatrice di handicap, non può esercitare la propria attività professionale. Tale atto, infatti, oltre a comportare un danno erariale, costituisce violazione dolosa delle norme disciplinanti il rapporto di servizio. A stabilirlo è la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per la Toscana, sentenza 26/08/2014, n. 155.
La vicenda – Il caso trae origine da un dipendente dell’Azienda Sanitaria che, nell’anno 2010, si trova nella condizione di dover chiedere la concessione di un congedo retribuito per assistere la propria madre, portatrice di handicap, in quanto figlio unico e convivente. L’Azienda Sanitaria accordava la richiesta con provvedimento valido per un anno, successivamente esteso anche all’anno 2012. Nel provvedimento, inoltre, veniva specificato che sospensione del rapporto di lavoro determinava anche la sospensione di ogni altra attività lavorativa ad esso collegata, compresa la libera professione extra muraria. Tuttavia, le Fiamme Gialle hanno rilevato che il dipendente non conviveva affatto con la madre come dichiarato, e che, durante il periodo di assenza dal servizio, aveva svolto attività in forma privata, in violazione delle norme disciplinanti il rapporto di lavoro. Pertanto, la Procura contabile quantificava un danno erariale pari alle somme corrisposte dalla ASL al medico nel periodo oggetto di contestazione. Il dipendente contestava la decisione di merito rilevando che: non vi sarebbe stato alcun impedimento per lo svolgimento dell’attività durante il congedo; in base al verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti dopo l’emanazione di un provvedimento disciplinare per i medesimi fatti di causa, la Usl rinunciava a pretese anche risarcitorie “per qualsiasi ulteriore titolo o ragione”, locuzione che renderebbe quindi preclusiva l’azione di responsabilità erariale.
Corte dei Conti – La sentenza, in particolare, si sofferma sulla questione del verbale di conciliazione sottoscritto dalla Usl e dal dipendente pubblico, ritenendo quanto in esso previsto irrilevante ai fini del giudizio. Con tale atto, infatti, veniva revocata la sanzione disciplinare della sospensione comminata al medico: pertanto lo stesso poteva avere effetti solo tra le parti, non vincolando in alcun modo, nella qualificazione del comportamento del convenuto e nei relativi effetti, l’azione del PM contabile e il giudizio di responsabilità amministrativa. Ne è prova il fatto che la Procura erariale “agisce in posizione neutrale rispetto all’Amministrazione, nell’interesse della legge ed a difesa del corretto svolgimento della funzione pubblica, essendo irrilevante la posizione assunta in tema dall’amministrazione danneggiata, che non può determinare né l’inerzia né l’azione del Procuratore contabile”. Di conseguenza, sono state ritenute sussistenti tutte le condizioni per la configurazione della responsabilità erariale del medico nel caso di specie. La decisione presa deriva dal fatto che il provvedimento di concessione prevedeva espressamente la sospensione di ogni altra attività lavorativa e tale condizione era stata oggettivamente e ripetutamente violata. Per di più, a ciò si aggiunge il fatto di aver falsamente dichiarato di convivere con la madre invalida.
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