Premessa – La Fondazione Studi dei CdL, con il parere n. 6 del 10 dicembre 2014, ha sottolineato alcuni profili di criticità dell'interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro nel recente interpello n. 30/2014. Sul punto, gli esperti della Fondazione Studi rilevano che l’orientamento ministeriale, secondo cui i contratti di prossimità non possono rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale, ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione, si pone in contrasto con il dettato normativo dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 (conv. da L. n. 148/2011) e con quanto disposto dalla stessa Direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Interpello n. 30/2014 MLPS - L’ARIS – Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari – aveva avanzato istanza di interpello al Ministero del Lavoro per avere maggiori delucidazioni per quanto concerne la derogabilità ai limiti di carattere quantitativo alla stipula di contratti a termine da parte della contrattazione collettiva di prossimità, a norma dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 (conv. da L. n. 148/2011). Sul punto il ministero del Lavoro, dopo aver richiamato l’art. 8 della manovra estiva-bis, ha chiarito che l’intervento della contrattazione di prossimità è ammesso solo a fronte di specifiche finalità e nel rispetto di alcune condizioni, vale a dire: devono essere “finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”; devono essere subordinate al “rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro”. Ciò detto, il Ministero del Welfare conclude che, essendo i contratti a tempo indeterminato la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori, l’intervento della contrattazione di prossimità non potrà comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione.
Considerazione dei CdL - Gli esperti della Fondazione Studi, presa visione della risposta ministeriale, hanno evidenziato sul punto numerose criticità, sintetizzabili nel seguente modo: assoluta indecifrabilità giuridica del concetto “diversa modulazione”; depotenziamento dell’istituto del contratto di prossimità, riducendo ulteriormente la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato; interpretazione autentica (atipica/anomale/illegittima) della norma in modo tale da mettere in discussione la contrattazione di prossimità sino ad oggi sottoscritta (non può applicarsi, infatti, al caso di specie il principio proprio di legge dell’effetto ex nunc). Sul punto, i CdL sottolineano che ciò potrebbe creare notevoli difficoltà da un punto di vista dell’applicazione dell’apparato sanzionatorio; incompatibilità, in termini sociali e politici, con quanto pubblicizzato dal governo in tema di effetto propulsivo del Jobs act, atteso che l’interpretazione ministeriale è in contrapposizione all’aumento dell’occupazione. Inoltre, i CdL fanno notare come il richiamo da parte del Ministero del Lavoro alla norma comunitaria è fuori luogo. Infatti, la tutela del lavoro a tempo indeterminato è già garantita dal termine dei 36 mesi, di cui all’art. 1 del D.Lgs. 368/01, che circoscrive l’ambito temporale di utilizzabilità del contratto a tempo determinato nel contesto del rapporto lavorativo individuale. Il limite quantitativo riguarda invece un aspetto aziendale costituito da una pluralità di rapporti e come tale non interessato dalla menzionata norma comunitaria.
Direttiva e normativa incompatibili - Analizzata la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, i CdL evidenziano come non sia possibile desumere che i limiti quantitativi siano richiesti a tutela del contratto a tempo indeterminato. Infatti, i principi fissati nella menzionata direttiva e nel relativo allegato “Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato”, non sono nella direzione seguita dal Ministero, direzione che, al contrario, sembrerebbe porsi in contrasto con la “Clausola 8” dell’Accordo quadro, laddove si stabilisce che: “il presente accordo non pregiudica il diritto delle parti sociali di concludere, al livello appropriato, ivi compreso quello europeo, accordi che adattino e/o completino le disposizioni del presente accordo in modo da tenere conto delle esigenze specifiche delle parti sociali interessate”. Infine, i CdL ritengono che l’art. 8 del D.L. n. 138/2011 (conv. da L. n. 148/2011), considerato peraltro costituzionalmente legittimo con la sentenza n. 221/2012 della Corte Costituzionale, riconoscendo in capo ai contratti collettivi aziendali una forza normativa di assoluta importanza, non si pone in contrasto con la “Clausola 8” dell’Accordo quadro, allegato alla direttiva 1999/70/CE su menzionata, ma al contrario ne rispetta l’indirizzo, lasciando alle parti sociali il controllo della corretta regolamentazione delle situazioni specifiche.