17 ottobre 2014

Contratto a tutele crescenti vs contratti oggi in uso: il confronto

Un’impresa che stabilizza il rapporto di lavoro di un proprio dipendente, risparmia 9.250 euro annui con il nuovo contratto a tutele crescenti

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è più conveniente per le imprese. È questo in sostanza il risultato che emerge dalle proiezioni sviluppate dalla Fondazione Studi CdL, che mette al confronto i principali contratti utilizzati nelle imprese, ossia un titolare di partita Iva, una collaborazione a progetto e un contratto a tempo determinato, con il nuovo contratto previsto dal Jobs act. Dall’analisi economica, infatti, deriva un effettivo risparmio sul costo del lavoro sostenuto dalle imprese, che potrebbe così facilitare nuova occupazione. A spostare l’ago della bilancia in favore della nuova tipologia di contratto è il ddl Stabilità varato mercoledì scorso dal Governo, che ha annunciato importanti interventi in favore del contratto a tutele crescenti, ossia: l’azzeramento dei contributi previdenziali per i primi tre anni in caso di nuove assunzioni e l’eliminazione dell’imposta Irap sul costo del lavoro, sostenuto dai datori di lavoro per tutti i contratti in essere. A darne notizia sono i CdL con un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito.

L’analisi –
Secondo le prime stime degli esperti della Fondazione Studi, per un lavoratore con retribuzione lorda annua di circa 24.000 euro, assunto con il nuovo contratto a tutele crescenti e alla luce delle misure annunciate nel ddl Stabilità, si avrebbe un costo per l’azienda di 26.707 euro. Mentre per una collaborazione a progetto con lo stesso compenso, si ha un costo pari a 29.063 euro, dunque più alto del nuovo contratto di lavoro subordinato. Se invece il confronto lo si effettua rispetto a un titolare di partita Iva con le medesime condizioni economiche, quest’ultima forma di lavoro risulta ancora di poco conveniente, con un costo annuale 25.057 euro a fronte di un costo del contratto a tutele crescenti di 26.707 euro. Tuttavia, in quest’ultimo caso bisogna considerare eventuali rischi di contenzioso qualora questa forma di lavoro autonoma risultasse forzata rispetto alle possibilità consentite dalla legge. Ma il risultato più sorprendente si registra nel caso in cui la legge di stabilità 2015 prevedesse l’agevolazione annunciata anche per le stabilizzazioni dei contratti a tempo determinato. In questo caso, secondo i dati della Fondazione Studi, si registrerebbe per ciascun lavoratore un vantaggio di 9.250 euro annui, ossia una riduzione immediata del costo del lavoro di circa il 26%. Ne consegue che le aziende troverebbero assai conveniente trasformare rapporti di lavoro in corso a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

Conclusioni – Alla luce della suddetta analisi, i CdL ritengono che le misure annunciate troverebbero una reale convenienza, soprattutto nelle stabilizzazioni dei contratti a termine o nelle conversioni dei dubbi rapporti parasubordinati o autonomi, ossia di lavoratori già in forza in azienda.
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