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L'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6221 del 9 marzo 2025, in applicazione della Sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 16 luglio 2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO) sotto il regime del D.Lgs. n. 23/2015 (Jobs Act): in caso di licenziamento basato su una riorganizzazione aziendale asserita ma non dimostrata, il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e non alla sola indennità risarcitoria.
  
Il diritto del lavoro italiano, a partire dalla riforma nota come Jobs Act (D.Lgs. n. 23/2015), ha intrapreso un percorso di profonda revisione del regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti individuali illegittimi, in particolare per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 e che ha introdotto, nell’ordinamento domestico, il Contratto di Lavoro a Tempo Indeterminato a Tutele Crescenti. L'architettura originaria della riforma aveva spostato il baricentro delle tutele dalla reintegra, o tutela reale, all'indennità risarcitoria, o tutela obbligatoria, confinando il ripristino del rapporto di lavoro a casistiche estremamente limitate.
Tuttavia, l'equilibrio normativo così concepito è stato oggetto di una progressiva e incisiva erosione da parte della giurisprudenza costituzionale, che ha progressivamente riaffermato il valore fondante della necessaria giustificazione del recesso e il principio di adeguatezza della sanzione in base alla gravità del vizio.
In questo contesto si inseriscono due pronunce di cruciale importanza: la Sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 16 luglio 2024 e la successiva, immediata applicazione da parte degli ermellini con l'Ordinanza Cass. n. 6221 del 9 marzo 2025. Questo elaborato si propone di analizzare l'impatto sistemico di tale binomio giurisprudenziale sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO), in particolare quando l'atto espulsivo è motivato da una presunta riorganizzazione aziendale che, in sede giudiziale, si riveli priva di fondamento fattuale.
La Sentenza della Consulta 128/2024 ha dichiarato l'incostituzionalità dell' Art. 3, comma 2, del D.Lgs. 23/2015 nella parte in cui escludeva la reintegra, sebbene attenuata, per l'insussistenza del fatto materiale nel licenziamento economico. Questa pronuncia ha di fatto esteso la “tutela forte" ai casi in cui la ragione produttiva, organizzativa o economica allegata dal datore di lavoro, come ad esempio una riorganizzazione, sia inesistente o non dimostrata.
L'Ordinanza di Cassazione n. 6221/2025 rappresenta la prima, inequivocabile applicazione di questo nuovo principio. Ritenendo l'asserita riorganizzazione aziendale una mera allegazione priva di riscontro probatorio, la Suprema Corte ha stabilito che l'illegittimità del licenziamento non può risolversi con il solo indennizzo economico, ma impone la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro.
L'analisi che segue si concentrerà sull'esame dettagliato del perimetro del fatto materiale post-Sentenza 128/2024 e sulla portata applicativa dell'Ordinanza 6221/2025, delineando il nuovo e più stringente onere probatorio che grava sul datore di lavoro e gli effetti di tale evoluzione sull'intero sistema del Contratto a Tutele Crescenti. Si evidenzierà come l'intervento congiunto delle due Corti abbia riequilibrato la bilancia tra le ragioni dell'impresa e la tutela del lavoratore contro il licenziamento arbitrario.
L’analisi dell’Ordinanza Cass. n. 6221/2025 e della Sentenza Corte Cost. n. 128/2024 richiede la preliminare comprensione del contesto normativo e dei concetti chiave che regolano il licenziamento individuale in Italia, in particolare per i lavoratori assunti nell’ambito del Contratto a Tutele Crescenti.
La Sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 16 luglio 2024 ha rappresentato un intervento additivo di incostituzionalità, fondamentale per ripristinare un nesso di proporzionalità tra la gravità del vizio e la sanzione.
La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui non prevedeva che la tutela reintegratoria attenuata si applicasse anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui fosse direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro. L'intervento della Consulta ha equiparato, ai fini della sanzione, l'insussistenza del fatto disciplinare, precedentemente tutelata, con l'insussistenza del fatto economico.
Nel contesto del GMO, il fatto materiale include: i) l'esistenza della ragione organizzativa/produttiva da intendersi come l'effettiva e concreta adozione di una riorganizzazione, ristrutturazione o cessazione dell'attività; ii) il nesso causale ovvero la dimostrazione che tale ragione abbia necessariamente comportato la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato. La Sentenza 128/2024 stabilisce che se il datore di lavoro non riesce a provare l'esistenza di questa ragione (ad esempio, la riorganizzazione è fittizia o non concreta), siamo di fronte all'insussistenza del fatto materiale e la sanzione non può che essere la reintegra.
Non da ultimo, la Corte Costituzionale ha ribadito che l'obbligo di repêchage, ossia la verifica da parte del datore dell'impossibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni equivalenti o inferiori, non rientra nella nozione di fatto materiale. In sostanza: i) se c’è violazione del fatto materiale (assenza di riorganizzazione), si applica la reintegra; ii) se c’è violazione del Repêchage, ovvero una riorganizzazione provata, ma possibile ricollocazione, si applica la sola indennità risarcitoria. Questa distinzione è fondamentale per comprendere l'applicazione pratica della Cassazione.
L'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6221 del 9 marzo 2025 rappresenta il primo e cruciale banco di prova dell'orientamento costituzionale e ne chiarisce la diretta operatività. Il caso esaminato riguarda il licenziamento di una lavoratrice per un asserito GMO legato a una riorganizzazione aziendale ("finalizzata a ottenere maggiore efficienza ed economicità di gestione").
Nonostante l'accertata insussistenza della motivazione economica, la Corte d'Appello aveva applicato l'Art. 3, comma 1, del D. Lgs. 23/2015, condannando l'azienda al pagamento della sola indennità risarcitoria (tutela indennitaria), in linea con la normativa del Jobs Act prima dell'intervento della Consulta. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della lavoratrice e cassa la decisione della Corte d'Appello.
La Cassazione ha affermato che la mancata dimostrazione, da parte del datore, dell'esistenza e della concretezza della riorganizzazione aziendale non costituisce una semplice violazione di regole procedurali o del repêchage, ma integra l'ipotesi di insussistenza del fatto materiale che giustificava il recesso.Di conseguenza, in forza della Sentenza 128/2024, che ha modificato l'Art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015, l'unica sanzione applicabile non è l'indennità risarcitoria, ma la tutela reintegratoria attenuata. La Cassazione ha quindi rinviato la causa al giudice di merito per l'applicazione di tale sanzione: “la determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo dell'indennità risarcitoria dovuta in caso di accertamento della illegittimità del licenziamento è censurabile solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria (Cass. n. 13380 del 2006; Cass. n. 1320 del 2014; Cass. n. 25484 del 2019), nel caso di specie, oggetto della censura della lavoratrice è il regime sanzionatorio applicato ratione temporis (trattandosi di lavoratrice assunta dopo il 7.3.2015) a seguito di mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e, in specie, della effettiva sussistenza di una "riorganizzazione aziendale finalizzata ad ottenere una maggiore efficienza ed economicità di gestione"; ebbene, tale tutela - approntata dall'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015 - è stata incisa da recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 16.7.2024, n. 128), la quale ha ritenuto incostituzionale la disposizione per mancata previsione della tutela reintegratoria ove il fatto che giustifica il licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulti insussistente….. il motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata e rinviata al giudice di merito affinché applichi l'art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015 come risultante a seguito della pronuncia di incostituzionalità n. 128 del 2024”.
L'Ordinanza 6221/2025 rende palese che, per evitare la reintegra, il datore di lavoro deve: i) dimostrare l'effettiva esistenza e concretezza della ragione oggettiva (es. la riorganizzazione è reale e documentata); ii) dimostrare il nesso causale tra la ragione oggettiva e la soppressione di quello specifico posto di lavoro. Se manca la prova del "fatto organizzativo" stesso, il licenziamento è privo di causa materiale e, nel regime delle tutele crescenti, deve essere sanzionato con la reintegra nel posto di lavoro della dipendente, ripristinando così il rapporto e riducendo drasticamente lo spazio della sola tutela economica per i licenziamenti per GMO più radicalmente ingiustificati.
La società Alfa S.p.A., attiva nel settore dei servizi digitali e soggetta al regime del D.Lgs. n. 23/2015 (Jobs Act), comunica il licenziamento alla Dott.ssa Clara Rossi, assunta da tre anni come Responsabile Marketing. La lettera di licenziamento indica come giustificato motivo oggettivo (GMO) la necessità di una profonda "riorganizzazione aziendale" volta alla riduzione dei costi e all'ottimizzazione delle funzioni. Nello specifico, si allega la soppressione della posizione di "Responsabile Marketing" a seguito della decisione di esternalizzare tale funzione a una società di consulenza esterna (outsourcing). La Dott.ssa Rossi impugna il licenziamento, sostenendo che la riorganizzazione fosse solo un pretesto per liberarsi di lei.
Il giudice conclude che non è stata provata l'esistenza del motivo organizzativo (riorganizzazione) addotto:
Il licenziamento per GMO è stato sanzionato con la reintegra, seguendo il principio stabilito dall'Ordinanza Cass. n. 6221/2025, che ha applicato la Sentenza Cost. n. 128/2024 all'insussistenza del fatto materiale (l'inesistenza della riorganizzazione).
Cosa si intende esattamente per "insussistenza del fatto materiale" nel licenziamento economico post-Sentenza 128/2024 e perché è cruciale?
Per "insussistenza del fatto materiale" nel licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo (GMO) si intende la mancanza di prova dell'evento oggettivo che avrebbe dovuto giustificare il recesso. Nel caso di una riorganizzazione (come nell'Ord. Cass. 6221/2025), non è stata provata l'esistenza concreta e l'attuazione effettiva della riorganizzazione stessa. Questo concetto è cruciale perché, secondo la Sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, l'accertamento di tale insussistenza sposta la sanzione dalla mera indennità risarcitoria alla tutela reintegratoria (Art. 3, comma 2, D.Lgs. 23/2015). In sostanza, un licenziamento economico completamente privo di fondamento fattuale viene ora sanzionato con la massima tutela prevista dal Jobs Act.
Se un'azienda dimostra la riorganizzazione ma non l'impossibilità di ricollocare il dipendente (obbligo di repêchage), quale sanzione si applica?
Si applica la sola tutela indennitaria risarcitoria (Art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015). La Sentenza 128/2024 ha chiaramente stabilito che l'obbligo di repêchage (cioè l'obbligo del datore di cercare una ricollocazione del dipendente in altre mansioni disponibili) non rientra nel perimetro del "fatto materiale". Pertanto: i) se la riorganizzazione è reale (fatto materiale sussistente), ma il datore ha omesso l'obbligo di repêchage, il vizio è meno grave e comporta solo il pagamento dell'indennità economica; ii) se la riorganizzazione non è reale (fatto materiale insussistente), come nel caso dell'Ordinanza 6221/2025, si applica la reintegra.
L'Ordinanza della Cassazione n. 6221/2025 introduce una nuova norma?
R. No, la Cassazione non introduce una nuova norma, ma svolge una funzione di applicazione conforme della nuova norma già creata dalla Corte Costituzionale. L'Ordinanza n. 6221/2025 è la prima concreta manifestazione del principio stabilito dalla Sentenza n. 128/2024. Quest'ultima ha dichiarato l'incostituzionalità del D.Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui era omissivo, rendendo l'Art. 3, comma 2, immediatamente applicabile anche all'insussistenza del fatto materiale nel GMO. La Cassazione, in questo caso, si è limitata a prendere atto di tale modifica legislativa intervenuta per via costituzionale e a rinviare la causa per l'applicazione della conseguente tutela reintegratoria.
(prezzi IVA esclusa)