Premessa – La Fondazione Studi CdL, con il Parere n. 7 di ieri, ha fatto chiarezza sulla delega e sull’applicabilità del contratto di lavoro a chiamata. Sul punto, dopo un’attenta disamina dell’istituto in analisi, i CdL concludono che sul lavoro intermittente il Legislatore lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di determinare le reali casistiche di utilizzo di questo strumento. Ma poi è lo stesso Legislatore a decidere che sia il Ministero del Lavoro ad individuare, in via provvisoria, le attività a cui applicare il contratto a chiamata, in sostituzione dell'autonomia collettiva, che a volte ha solo potere ampliativo, mentre altre volte preclusivo.
Lavoro a chiamata e delega – L’istituto del lavoro a chiamata, disciplinato dalla Legge Biagi (L. n. 276/2003), all’art. 34 sancisce che il ricorso a tale tipologia di contratto è possibile esclusivamente per prestazioni di carattere discontinuo e intermittente, tenendo conto delle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale. Da ciò ne consegue che è la contrattazione collettiva a stabilire le esigenze del settore produttivo e a determinare le reali casistiche di utilizzo di tale strumento. Qualora la contrattazione collettiva nulla normi in merito, è affidato al Ministero del Lavoro il compito di convocare le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori, assistendoli al fine di promuovere l’accordo. Se anche in quest’ultimo caso manca la stipulazione dell’accordo, che deve giungere entro i 4 mesi successivi, il MLPS individua in via provvisoria e con proprio decreto i casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente. Da tale passaggio normativo è nato il D.M. 23 ottobre 2004, mediante il quale il MLPS ha individuato, appunto in via provvisoria, quelle attività per le quali sia applicabile il contratto a chiamata, in via sostitutiva rispetto alla determinazione della contrattazione collettiva.
Potere preclusivo o integrativo? – Alla luce di quanto su affermato, i CdL evidenziano come a volte la contrattazione, in luogo di una puntuale proposta applicativa del lavoro a chiamata, abbia scelto di escludere tout a court tale istituto (come per esempio nel CCNL Spedizione e Trasporti o nel CCNL Agenzie di Assicurazione Unapass-Anapa). Sul punto è bene richiamare l’interpello n. 37/2008 del MLPS, il quale aveva precisato che “rispetto alle ipotesi soggettive di ricorso al contratto e all’individuazione dei periodo predeterminati di cui, rispettivamente, agli artt. 34, comma 2 e 37 comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, l’autonomia collettiva sembra avere un potere integrativo/ampliativo ma non preclusivo”. Secondo i CdL, infatti, analizzando più approfonditamente l’art. 34, c. 1 della Legge Biagi non si evince alcuna delega alla contrattazione collettiva con la quale la stessa possa precludere l’utilizzo di tale istituto nel settore specifico. In particolare, il legislatore delega alla contrattazione collettiva di entrare nel merito della reale necessità di utilizzo, quest’ultima dovrebbe poi specificare quali sono i casi di puntuale applicazione nel settore. Tale interpretazione viene, di fatto, confermata anche dal D.M. 23 ottobre 2004, il quale, nelle premesse, evidenzia la carenza di puntuali indicazioni da parte delle organizzazioni e associazioni sindacali “in ordine all’individuazione di specifiche esigenze che possano legittimare nei diversi settore produttivi e di servizi, il ricorso al lavoro intermittente”.
Parere dei CdL – Secondo gli esperti della Fondazione Studi CdL, la scelta di prevedere l’inapplicabilità tout court, senza entrare nel merito delle reali esigenze, appare, nei fatti, vuota. Questo perché eccede la delega riconosciuta dalla norma. Pertanto, i CdL ritengono che quanto a suo tempo evidenziato dal Ministero del Lavoro, dovrà essere così integrato: “nel caso in cui la contrattazione collettiva pattuisca che tale istituto non sia applicabile al settore specifico, tale scelta equivale ad una non determinazione delle esigenze contrattuali, alla stregua di un silenzio del CCNL”. Ne discende, quindi, che l’applicabilità per tali settori, oltreché per le ipotesi soggettive, si estende anche alle attività previste dalla tabella allegata al Regio Decreto n. 2657/1923, applicabile nel silenzio del contratto collettivo stesso.