Premessa - Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in risposta all’interpello n. 29/2013, ha chiarito che in caso di licenziamento disciplinare sussiste sia il diritto all'ASpI del lavoratore sia il dovere del relativo versamento contributivo a carico del datore di lavoro.
Il quesito - Il CNO dei Consulenti del Lavoro ha avanzato richiesta d’interpello in merito alla possibilità o meno di percepire l’ASpI e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, c. 31 della L. n. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa. In particolare, è stato chiesto se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della predetta indennità.
Ticket licenziamento – La Riforma Fornero (L. n. 92/2012) all’art. 2 ha introdotto sia il nuovo ammortizzatore sociale (ASpI), con l’intento di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria sia un contributo a carico del datore di lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI. Tale normativa evidenzia che, le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Pertanto, non è possibile escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/201 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare.
Corte Costituzionale - A confermare il suddetto orientamento è intervenuto la Corte Costituzionale (sentenza n. 405/2001) stabilendo che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento [...] comunque in esso efficace sanzione”.
Risposta MLPS – Per rispondere al quesito posto, il MLPS si rifà proprio alla su menzionata sentenza in quanto, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore, pertanto negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti. Per quanto riguarda invece l’inquadramento del licenziamento disciplinare, viene chiarito che non può ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica” senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi, afferma il MLPS, potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dall’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato. In definitivo, il Ministero del Welfare afferma che non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto “per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI”.
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