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Premessa – L’utilizzo massiccio dei cellulari può considerarsi una certezza probante per il riconoscimento di una malattia professionale? Secondo l’INAIL, “no”. Infatti, l’avvocato generale dell’Istituto, Luigi La Peccerella, afferma che è "sbagliato attribuire alla decisione della Corte Suprema valore di giudizio sulla cancerogenicità dei dispositivi. L'Oms non ritiene l'uso massiccio di questi apparecchi un probabile elemento di pericolo". Non la pensa allo stesso modo la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 17438/2012, ha respinto il ricorso col quale l'Istituto ha contestato il diritto alla rendita per malattia professionale (con invalidità dell'80%) attribuito dalla Corte di Appello di Brescia a favore di un manager che, per dodici anni, per cinque-sei ore al giorno, aveva usato il telefonino.
Probabile elemento di rischio – In particolare, per “probabile elemento di rischio” s’intende quel elenco di malattie contenute nel D.M. 11.12.2009 per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell'articolo 139 del D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali). In tale elenco si opera una distinzione tra le malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità e quelle la cui origine professionale è solo possibile e dove le evidenze scientifiche sono ancora sporadiche e non precisabili.
Le motivazioni dell’INAIL – La battaglia intrapresa dall’Istituto è di carattere squisitamente giuridico, basata sul principio secondo il quale in materia di malattie multifattoriali si può ricorrere solo a una ragionevole certezza giuridica, fondata sul criterio di “probabilità qualificata”. Del resto è la stessa Cassazione ad affermare che questo giudizio deve essere supportato da studi epidemiologici e da dati di letteratura che siano condivisi dalla comunità scientifica. Sulla base di ciò, l’INAIL ritiene che nel caso considerato non esistono studi che classifichino le onde elettromagnetiche come “probabile” elemento cancerogeno; risultato tra l’altro confermato anche dai recenti studi condotti dello IARC e dalle raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità. In altre parole, l’INAIL contesta quel requisito basilare indicato dalla Corte stessa: cioè l’esistenza di studi scientifici ed epidemiologici condivisi.
La sentenza – Al riguardo, bisogna tenere ben presente che la sentenza della Corte di Cassazione non ha espresso un giudizio sulla nocività dei cellulari, ma ha semplicemente affermato che l’utilizzo prolungato del cellulare nel caso di specie ha avuto un ruolo “concausale” nell’insorgenza della patologia e che tale accertamento non è sindacabile in Cassazione. Dunque, il rigetto del ricorso non si traduce assolutamente in un principio di carattere generale in ordine alla cancerogenicità delle onde elettromagnetiche.