18 settembre 2012

Riforma del lavoro. Si salva solo l’apprendistato

L’apprendistato resta il contratto maggiormente utilizzabile per i datori di lavoro
Autore: Redazione Fiscal Focus

Premessa – A due mesi dall’entrata in vigore della riforma del lavoro (18 luglio 2012), risulta particolarmente interessante andare a vedere come stanno rispondendo le norme relative alla flessibilità in entrata sul mercato del lavoro. Il risultato, per ora, non è quello che le imprese si aspettavano; infatti, nella maggior parte delle volte si vedono costretti a stipulare un determinato contratto di lavoro piuttosto che un altro per evitare di incorrere in quelle norme che prevedono il pegno di pagare l’aumento del costo del lavoro. Dunque, quali sono gli elementi che le aziende devono valutare per assumere nuovi lavoratori? Per rispondere a tale quesito si analizzano uno a uno le tipologie contrattuali più importanti.

Il contratto di apprendistato -
Partendo dal contratto di apprendistato, che a conti fatti è la tipologia contrattuale più conveniente per le imprese, mira a diventare lo strumento principale per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. In realtà, c’è da dire che la vera riforma in tal senso è già avvenuta con l’entrata in vigore del T.U. sull’apprendistato (D.Lgs. 167/2011); mentre la riforma Fornero (L. n. 92/2012) ritocca alcune disposizioni per renderlo ancora più utilizzabile. In particolare, s’incrementa il numero massimo di apprendisti assumibili, passando dal rapporto “1 a 1” al rapporto “3 a 2” (valevole per le assunzione effettuate dal 1° gennaio 2013), con la possibilità da parte delle agenzie per il lavoro di poterlo utilizzare anche in somministrazione in tutti i settori produttivi. Tuttavia, l’assunzione di nuovi apprendisti è vincolata alla percentuale di stabilizzazione in servizio, pari al 50% dei rapporti di apprendistato svolti nell'ultimo triennio. Fino al 18 luglio 2015, però, la percentuale è ridotta al 30%. Il vincolo non si applica ai datori di lavoro che hanno un numero di dipendenti inferiore a 10 unità.

Il contratto a termine
– Il contratto a tempo determinato, al contrario, non viene considerato quale forma di lavoro privilegiata, introducendo norme che ne limitano l’utilizzo. Eccezion fatta per l’eliminazione del c.d. “causalone” che agevola l’instaurazione del rapporto di lavoro, tutte le altre norme presentano dei vincoli nell’utilizzo di tale istituto. Infatti, esso potrà avere una durata massima di 12 mesi e non è mai prorogabile, neanche nell'ipotesi in cui la durata iniziale sia stata inferiore alla durata massima. Al raggiungimento della durata massima, inoltre, confermata in 36 mesi superati i quali il contratto si trasforma a tempo indeterminato, vengono ora computati anche i periodi di somministrazione a termine, per mansioni equivalenti. Mentre per la riassunzione a termine devono passare almeno 60 giorni (prima l’intervallo era di 10 giorni) nel caso di durata del primo contratto inferiore a 6 mesi, ovvero 90 giorni per quelli di durata superiore (prima erano 20 giorni).

Il contratto di lavoro intermittente – Non va meglio per il c.d. job on call, dove il Governo ha previsto una notevolmente riduzione della platea dei soggetti che possono ricorrere a tale tipologia di lavoro. Innanzitutto cambiano i limiti di età; infatti esso potrà essere stipulato esclusivamente da lavoratori: sotto i 24 anni (prima erano 25); e sopra i 55 anni (prima erano 45). Poi vengono introdotti numerosi adempimenti burocratici, che se non rispettati danno vita a delle pesanti sanzioni. E per finire è stata eliminata la possibilità di ricorrere al lavoro a chiamata durante il weekend, per i periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali.

Collaborazioni a progetto
– Anche il contratto a progetto, con l’intento di evitarne l’utilizzo improprio, spesso impiegato per mascherare un vero e proprio lavoro dipendente, finisce per diventare troppo rischioso e costoso. Infatti, il rapporto di collaborazione non può più essere riferito a un programma di lavoro o a una fase, bensì è necessario che il contratto identifichi un progetto specifico. Inoltre, è necessario che il progetto: sia funzionalmente indirizzato a un determinato risultato finale, che deve essere indicato nel contratto individuale stipulato fra le parti; non consista in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente; non comporti lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; deve indicare il risultato finale che s’intende conseguire; salvo che per prestazioni di elevata professionalità, l’attività non sia resa con modalità analoghe a quelle svolte dai dipendenti del committente. Sull’innalzamento del costo del lavoro, invece, occorre segnalare l’incremento esponenziale dei contributi INPS, che arriveranno al 33,72% nel 2018.

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