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Con l’ordinanza interlocutoria n. 19618/2020 la Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite il quesito inerente l’annosa disputa sull’ostensione del Crocifisso nelle aule scolastiche (in proposito si veda “Ognuno ha la sua croce” su Fiscal Focus del 19 ottobre 2019).
Ad averla sollevata stavolta non è stata la famiglia di un qualche alunno, bensì un docente di materie letterarie di un istituto superiore che, contravvenendo a quanto deliberato dall’assemblea d’istituto, era solito rimuovere il simbolo dalla parete dell’aula durante la propria lezione per ricollocarvelo al termine della stessa. Per tale motivo era incorso nella sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per trenta giorni, inflittagli dall’Ufficio Scolastico Provinciale.
Il procedimento che ha portato alla pronuncia dell’ordinanza sopracitata è partito proprio dal ricorso che il docente aveva presentato al Tribunale di Perugia avverso la suddetta sanzione, ritenuta illegittima in quanto indirettamente lesiva della libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa. Il giudice di primo grado aveva però ritenuto legittimo il provvedimento disciplinare e nello stesso senso si era pure pronunciata la Corte d’Appello successivamente adita. Quest’ultima difatti aveva escluso che la condotta tenuta dal dirigente scolastico nell’aver assecondato la decisione presa dagli studenti in assemblea – e la conseguente richiesta di mantenere il crocifisso in aula - potesse essere qualificata discriminatoria, poiché il relativo ordine di servizio era stato indirizzato all'intero corpo docente e, quindi, non era stata realizzata alcuna disparità di trattamento. Parimenti aveva ritenuto che l'esposizione del crocifisso non aveva limitato la libertà di insegnamento e che il ricorrente non aveva titolo per dolersi - come evidenziato nel proprio ricorso - dell'asserita violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione nonché di quello di laicità dello Stato, rilevando che tali principi non danno origine a diritti soggettivi dei singoli bensì ad interessi diffusi, e, come tali la loro tutela è affidata agli enti esponenziali della collettività nel suo complesso (ed eventualmente, solo nei casi di espressa previsione di legge, ad associazioni o enti collettivi che di quegli interessi sono portavoce), ma mai a singoli individui.
A sua volta investita della questione, la Cassazione ha anzitutto ripercorso le precedenti pronunce in materia – sia proprie che del giudice amministrativo e costituzionale nonché della Corte Europea dei Diritti Umani - ritenendole comunque non appaganti e risolutive. In particolare, ha osservato che il Consiglio di Stato (C.d.S. II parere n. 63/1988; C.d.S. VI n. 556/2006) ha affermato che l’esposizione del crocifisso in ambito scolastico svolge una funzione “simbolica educativa” nei confronti degli alunni, credenti e non credenti, in quanto richiamante valori laici, quali tolleranza, rispetto reciproco e valorizzazione della persona, escludendo pertanto che la sua esposizione possa assumere un significato discriminatorio sotto il profilo religioso o che la decisione delle autorità scolastiche di tenere esposto il simbolo si ponga in contrasto con il principio della necessaria laicità dello Stato.
Tali conclusioni non erano state tuttavia condivise dalla stessa Cassazione che- seppure in sede penale (Cass. penale, n. 4273/2000) – aveva posto viceversa l’accento sulla natura esclusivamente religiosa del simbolo nonché sulla impossibilità di giustificare, attraverso il richiamo alla coscienza sociale, una scelta che si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto, disponendo l'esposizione del solo crocifisso, viola il divieto di «discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l'appunto la religione».
Anche la Corte Europea dei Diritti Umani (Grande Camera 18.3.2011- Lautsi ed altri contro Italia) ha affermato il carattere religioso del simbolo, nello stesso tempo escludendo, però, la violazione del principio di neutralità dello Stato, in forza del ruolo “essenzialmente passivo” derivante dall’esposizione del crocifisso, che deve essere pertanto "relativizzata", non potendosi ad essa riconoscere un'influenza sull'educazione degli allievi paragonabile a quella di un discorso didattico o della partecipazione ad attività religiose.
La Cassazione si chiede però se- una volta esclusa l’influenza dell’esposizione del crocifisso sull’educazione degli allievi – possa dirsi altrettanto nei confronti del “soggetto che è chiamato a svolgere la funzione educativa”, “di tal ché si potrebbe dubitare dell’asserito “ruolo passivo” qualora all’esposizione del simbolo si attribuisse il significato di evidenziare uno stretto collegamento fra la funzione esercitata ed i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama”. In sostanza gli Ermellini ritengono che si potrebbe sostenere che l’apposizione del crocifisso metta il docente credente in un altro credo o non credente, in una posizione di svantaggio rispetto al docente che a quel credo aderisce, in quanto “costretto a svolgere attività di insegnamento in nome di valori non condivisi “, realizzando così una discriminazione indiretta.
La Corte, pertanto, con la citata ordinanza interlocutoria, si chiede se, nel rispetto del principio del pluralismo, le esigenze dell’insegnante e quelle degli alunni, nel caso de quo, non fossero temperabili, consentendo la rimozione del crocifisso quale esercizio legittimo del potere di autotutela.
Apparendo la questione "di massima di particolare importanza" ex art. 374, secondo comma, c.p.c., l’ha dunque rimessa al Presidente.