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Il consigliere del malconsiglio

Autore: Ester Annetta
Davanti all’ingresso del supermercato dove sono solita far la spesa c’è un uomo sulla quarantina che porge un bicchiere di carta ad ogni persona che gli passa davanti, chiedendo una moneta.

Mi vede quando sono ancora a metà della rampa d’accesso, mentre spingo in salita il mio pesante carrello che - come normalmente è al ritorno dalle vacanze - contiene un po’ di tutto.

“Posso aiutare, signora?”

La voce è limpida, ma tradisce una sorta di timidezza insieme ad una cadenza straniera. Non mi pare di averlo mai visto prima.

Lo ringrazio per la sua offerta d’aiuto, ma sono ormai arrivata in cima alla rampa e la macchina è parcheggiata poco distante. Perciò gli chiedo solo il favore di riportare indietro il carrello appena l’avrò svuotato. Gli spiego pure che non c’è una moneta nel cassettino sblocca catena ma un gettone di plastica e che dovrebbe farmi il favore di riportarmi.

Mi ripete tutto come per accertarsi di aver capito bene, quindi si avvia mentre io sistemo i sacchetti della spesa nel bagagliaio.

Torna poco dopo tendendomi il gettone. A mia volta gli restituisco un paio di monete e lui, ringraziandomi, si sente quasi in dovere di precisare: “Io brasiliano e ora senza lavoro. Tu puoi aiutare a trovare lavoro?”

Rimango un po’ spiazzata da quella richiesta: in genere l’aiuto che chiede chi mendica è di qualche soldo o di un po’ di spesa; non mi era mai capitato che qualcuno mi chiedesse invece un lavoro!

Nota la mia espressione perplessa e, scambiandola per diffidenza, si affretta a dirmi: “Non sono cattiva persona. Guarda, io davvero brasiliano” e così dicendo tira fuori dalla tasca il suo passaporto. Sorrido, gli dico che ci credo, che si sente dal suo accento e gli domando da quanto tempo sia arrivato in Italia. “Tre mesi” – dice – “faccio operaio. Prima lavorato lì” e mi indica un palazzo dove ricordo che c’era un’impalcatura poco prima dell’estate; “poi lavoro finito e io più niente”.

Mentre torno a casa ripenso a quella conversazione e ciò che su tutto continua a tornarmi in mente è quel “Non sono cattiva persona”, pronunciato con tale accoramento da sembrare la disperata richiesta di fiducia di chi evidentemente troppe volte si è visto respingere dal disprezzo, dal pregiudizio o dalla diffidenza.

Per una strana coincidenza, quello stesso pomeriggio, mentre siedo davanti al pc, attrae la mia attenzione la notifica di un episodio che credo non sia sfuggito ai più (e questo in fondo era l’intento): a Firenze, un consigliere di quartiere per la Lega posta sul suo profilo Fb un video in cui, riprendendosi accanto ad una donna rom, lancia l’appello: “Il 25 settembre vota Lega per non vederla mai più.” Sullo sfondo la donna replica “"No, non dire così, non dire così!" aggiungendo infine, dopo che il consigliere ha nuovamente ribadito lo stesso messaggio: "Io non ho paura".

“Non sono cattiva persona”, "Io non ho paura".

Non posso fare a meno di mettere insieme queste due affermazioni, colte - per una qualche misteriosa ragione - quasi in sequenza e che in fondo “non-dicono” la stessa cosa: “Ci temete e ci disprezzate perché ci considerate invasori, parassiti e ladri. Ma siamo uomini e donne come voi, con desideri, bisogni e paure che dobbiamo affrontare ogni giorno, in una terra che forse può offrirci ciò che nella nostra manca, ma dove la fatica maggiore consiste nel guadagnare fiducia agli occhi di chi invece continua a calpestare la nostra dignità”.

È per questo che il messaggio del consigliere – che invece era evidentemente convinto dell’efficacia propagandistica del suo video – risulta ancora più squallido: è un rimarcare senza possibilità di appello quelle accuse che in maniera generalizzata e pregiudizievole condizionano frequentemente la percezione collettiva del diverso e dello straniero.

Un conto sono i programmi politici - con anche i loro pregi, i valori e le convinzioni (più o meno condivisibili, certo) di fondo – altro è invece la maniera meschina e ruffiana con cui si tende ad ottenere il consenso di una ingenua platea, ricorrendo ad una ben precisa strategia che consiste nell’indirizzare il rancore popolare (causato dalle motivazioni più varie: crisi, rincari, violenza) verso dei capri espiatori, quasi a replicare la pratica dei “due minuti d’odio” attuata dal governo del Grande Fratello nel romanzo di Orwell.

E ridicolo appare, poi, il tentativo dello stesso consigliere - a seguito delle ovvie critiche ricevute - di scagionarsi stemperando la portata del suo maldestro malconsiglio, lasciando intendere che fosse solo un modo per porre l’accento sul reato di accattonaggio molesto disciplinato dal nostro codice penale e chiosando il suo chiarimento con un’affermazione che, suo malgrado, ha finito invece per rincarare la dose: "Chi la vuole buttare sul razzismo vuol dire che non mi conosce, vi mando un grande bacio e vado a lavorare visto che io pago le bollette e non me le paga il Comune come al campo rom”.

Credo non servano altri commenti, ma una considerazione la ritengo necessaria: al di là di ogni orientamento politico, è pur sempre necessario valutare la sostanza delle idee, sia quando si palesa sia quando, pur non apparendo, ne sostiene l’impalcatura.

Perciò, nell’incertezza che è ancora di tanti su chi andare a votare tra due settimane, la sola bastevole certezza potrebbe intanto essere quella di sapere chi non votare, specie se si tratta di coloro che sconfessano il fondamentale principio di uguaglianza dettato dalla nostra Costituzione alla vigilia di un impegno di governo che comporterà il giuramento di osservarla lealmente.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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