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Daniel sorride, luminoso, con in testa la sua bella corona d’alloro e la sua tesi di laurea con la copertina rossa stretta tra le mani. Dietro di lui, a far da sfondo alla sua gioia, un grande striscione con su scritti i versi della canzone di Vasco: vivere per amare/ vivere per sognare/ vivere per rischiare/ vivere per diventare.
Parole che per Daniel hanno un significato profondo, che racchiude tutto il suo essere stato, il suo presente ed il suo divenire.
La sua storia l’aveva raccontata lui stesso, un anno e mezzo fa circa, in occasione del XV Sinodo dei Vescovi sui giovani: una storia esemplare di volontà, di impegno, di redenzione, intesa però non solo in senso cristiano, ma più ampiamente e autenticamente umano.
Daniel è cresciuto nella periferia di Milano, a Quarto Oggiaro, un quartiere difficile in cui imperano un forte orgoglio d’appartenenza e regole ben precise da rispettare, legate ad una “cultura materiale assordante”, come lui stesso l’ha definita: soldi, successo, immagine, potere sono le condizioni fondamentali per vivere ed essere qualcuno.
Per sentirsi all’altezza della situazione, Daniel fin da giovanissimo comincia dunque a commettere reati: prima piccoli furti nel quartiere, arrivando poi, – intorno ai 17 anni - a compiere rapine in banca.
Finisce così nel carcere minorile Beccaria di Milano, fiero – grazie a quell’arresto – di aver ormai raggiunto la notorietà cui ambiva. Ma quell’illusione di gloria s’infrange ben presto contro la dura realtà della prigione: le risse e la fatica d’integrarsi con persone straniere. A Daniel gli stranieri proprio non piacciono, e non può sopportare di dover dividere lo spazio della cella con uno di loro.
L’insofferenza comincia perciò a trasformarsi in rabbia, rifiuto dell’autorità, ribellione, cui seguono una serie di rapporti disciplinari e di trasferimenti in diversi carceri minorili d’Italia.
Ma in carcere Daniel fa anche un incontro importante, che segnerà il percorso della sua vita: è quello con Don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria e fondatore della comunità Kayros, che da vent’anni si occupa di accoglienza e integrazione di minori in difficoltà, segnalati dal Tribunale per i Minorenni, dai Servizi Sociali di riferimento e dalle forze dell’Ordine.
Daniel sente che di quell’uomo può fidarsi, perché non è di quelli che impongono ciò che si deve o non si deve fare, ma di quelli che pongono davanti alle proprie responsabilità ed alle proprie scelte ed alla consapevolezza che sia la volontà il motore che guida la condotta e l’esistenza.
Così Daniel ottiene dal giudice di potersi trasferire nella comunità di Don Claudio. Ci resta due anni, il tempo della sua pena. E’ convinto d’esser cambiato quando torna a Quarto Oggiaro; ma dura poco. Dopo sei mesi viene nuovamente arrestato per rapina e stavolta, essendo ormai divenuto maggiorenne, finisce dietro le sbarre di San Vittore.
E’ un periodo ancora più duro del precedente. Ma, di nuovo, Daniel fa un secondo importante incontro: si tratta di Fiorella, un’anziana volontaria, un’insegnante in pensione, che riesce a mettere nel cuore di quel ragazzo il desiderio di riprendere gli studi.
Così, scontata la pena, Daniel spontaneamente chiede a don Claudio di poter ritornare nella sua comunità. Il suo cambiamento stavolta è reale e duraturo: impara la condivisione dello spazio e degli interessi con giovani di culture e religioni diverse e, soprattutto ricomincia a studiare, arrivando alla maturità ed iscrivendosi poi alla Facoltà di Scienze della formazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Don Claudio comincia a portarlo con sé, ad incontrare altri giovani ed altre situazioni difficili. Daniel racconta la sua storia e la grande lezione che ha imparato: non è possibile alcun discernimento se si sta sempre con chi ci assomiglia e se il modello, dunque, è sempre lo stesso: solo il confronto con l’altro aiuta a conoscersi meglio e a compiere scelte più autentiche.
La metamorfosi di Daniel è lunga ed inesorabile: ciò che le persone importanti della sua vita hanno potuto con lui ora sente che può a sua volta renderlo ad altri, divenendo un educatore.
Qualche giorno fa Daniel, a 27 anni, si è laureato.
Con lui, a condividere la gioia di quel traguardo, c’erano tutte quelle persone importanti, compresa la severissima PM del Tribunale per i minorenni che, per il suo bene, l’ha fatto sempre condannare.
Ora l’accarezza, tenera come una madre, fiera per ciò che quel giovane bullo è diventato, simbolo autentico di quel “kayros” – la nuova opportunità – che si po’ scegliere di cogliere, per salvarsi.
Che l’esempio di Daniel possa far bene ai tanti giovani che, ogni giorno, rischiano ancora di perdersi.