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Il male di vivere

Autore: Ester Annetta
Camilla ha 17 anni e frequenta il liceo.

Sono solo un paio d’anni che, con la sua famiglia, è venuta ad abitare nel mio stesso comprensorio.

La incontro spesso in cortile, quando entrambe usciamo a portare fuori i nostri cani per la passeggiata pomeridiana. E’ così che ho avuto modo di scambiare con lei qualche breve conversazione, nei limiti di quell’imbarazzo che i ragazzi, per una sorta di “riverenza all’età”, hanno sempre nell’approcciarsi agli adulti.

Ha un bel viso, modi educati e gentili, e l’aria di una brava ragazza.

Riccardo di anni ne ha 19 ed è iscritto al primo anno d’università.

Abita al piano di sopra al mio da quando è nato. Ho sentito tutti i suoi vagiti, i rimbalzi del suo pallone quando da bambino giocava a calcio in casa, le sue risate, i rimproveri della mamma quando, ormai cresciuto, lo richiamava al dovere e la sua esultanza di tifoso ogni volta che la Lazio segna un goal (o ne subisce uno la Roma!). L’ho visto crescere, insomma. Ed è per questo probabilmente che, a differenza di Camilla, è molto più disinvolto e cordiale nei miei riguardi quando ci incontriamo davanti all’ascensore o in cortile.

Un paio di mesi fa ho notato che Camilla e Riccardo – dapprima ignari l’una dell’esistenza dell’altro - si erano infine incontrati, anche loro in circostanza di passeggiate con i rispettivi cani. Quelle coincidenze erano poi divenute progressivamente meno casuali e sempre più fatte di risatine, sguardi sognanti, parole timide.

Finché una mattina, ad un’ora davvero troppo insolita per un ragazzo che, senza più avere l’assillo di una campanella, ben se ne guarderebbe dall’essere già sveglio, ho trovato Riccardo davanti al cancello, infreddolito, ma vestito di tutto punto e perfettamente in ordine.

Poco dopo è scesa Camilla. Riccardo le è andato incontro con un sorriso radioso, le ha preso lo zaino caricandoselo in spalla e, mano nella mano, si sono incamminati in direzione del vicino liceo.

Il gelo di quel mattino d’inverno mi è parso di colpo che si sciogliesse. Ero stata testimone involontaria e privilegiata del nascere e del rivelarsi di un sentimento durante ogni sua singola tappa e mi ha scaldato il cuore l’idea che tanta bellezza e tanta tenerezza siano ancora doni che allietano e rendono piena di senso l’esistenza dei giovani, anche se ci appaiono così diversi, superficiali ed inconcreti rispetto a quanto fossimo noi “quasi anziani” alla loro età.

Ho ripensato a quella sensazione di potenza che si avverte da adolescenti, quando si ha ancora davanti un’intera esistenza da costruire; all’entusiasmo che anima ogni nuova impresa; all’insicurezza ed all’adrenalina che si mescolano in eguale misura di fronte ad ogni nuova sfida; al vigore ed alla bellezza della gioventù ed ai suoi sogni, che sembrano tutti possibili.

Poi, qualche giorno fa, ho avuto la visione opposta, il negativo di queste immagini chiare e colorate, quel bianco e nero intervallato soltanto dal grigio di altre – troppe – esistenze che, nonostante una durata brevissima, sono cariche di pena, dolore, paura. Tante e tali da indurre alla resa, da far prediligere la scelta del buio alla corsa verso la luce, da prosciugare ogni energia ed ogni reattività, da annichilire, da non lasciar spazio ad un seguito, ad un futuro.

Julia Ituma. 18 anni. Promessa della pallavolo nella nazionale azzurra, volata senza ali dal sesto piano della sua camera d’albergo a Istanbul, poche ore dopo la fine di una partita egregiamente giocata con la sua squadra.

Franz, Wilhelm. Ebert…o qualunque altro sia il nome - mai reso noto – del 18enne tedesco che, dal bordo di una nave da crociera ferma al largo di Civitavecchia, ha scelto a sua volta di spiccare il volo, anche lui senza ali, verso il blu del mare anziché del cielo.

Le fragilità della mente umana sono insondabili, come incomprensibile è che esistenze appena in germoglio possano già patire d’un intollerabile male di vivere. A prescindere che si tratti di astri nascenti vocati alla gloria (o forse proprio a causa di questo?) o di individui qualunque.

Verrebbe da urlare: “che ne sai ancora della vita a 18 anni appena? Quale male può essere così atroce alla tua età da non consentirti di reagire, di tirar fuori tutte le tue energie ed opporti, in nome d’un tempo che hai ancora da dominare, d’un orizzonte che ancora è lontano dalla tua vista, d’una meraviglia che non è ancora finita?”

Eppure è sempre più frequente che accada. Sono sempre più numerose le giovani vite spezzate, interrotte da una scelta che – chissà – forse a chi si è trovato a compierla sarà apparsa come la più coraggiosa e non come la più vile.

Ma non può non restare il dubbio che, a fronte di tanta insicurezza, paura, disperazione ci sia anche un’accresciuta disattenzione degli adulti di riferimento, di coloro che, col tempo, hanno sempre più visibilmente abdicato alla propria funzione di educatori, guide, consiglieri perché distratti da altri impegni e premure che hanno ritenuto prioritari. E che hanno finito perciò per non accorgersi che, intorno a loro, tra le mura di casa, dietro la porta di una cameretta, troppo spesso si consumano drammi che una diversa attenzione o anche solo un abbraccio potrebbero ridurre di portata, fino a sgretolarli, fendendo il buio e restituendo quella gioia di vivere e quell’entusiasmo che, a 18 anni, dovrebbero essere il solo motore pilota dell’esistenza.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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