Appena superata la curva intensa delle scadenze di luglio e con l’arrivo di agosto che ammorbidisce i ritmi, ci ritroviamo davanti a un momento raro: il tempo per respirare. In questa pausa apparente, che molti vivono come un’interruzione, si nasconde in realtà una grande occasione: quella di ascoltare ciò che normalmente la frenesia soffoca. È il momento giusto per fermarsi e chiedersi, con autenticità, dove stiamo andando. Non solo come professionisti, ma come esseri umani che hanno scelto di mettere le proprie competenze al servizio di altri. Questo tempo vuoto, spesso temuto da chi è abituato a misurarsi solo in termini di produttività, può diventare un potente generatore di senso.
Il sociologo Domenico De Masi lo ha definito “ozio creativo”: uno spazio fertile, in cui si può finalmente pensare, immaginare, ripensare, disegnare il futuro con occhi nuovi. E in questo spazio sospeso può emergere una domanda tanto semplice quanto radicale: mi riconosco ancora nel mio modo di lavorare?
Per molti commercialisti e professionisti in genere, lo studio non è solo un luogo fisico. È un’estensione della propria identità. È la somma di abitudini, alleanze, compromessi, routine e piccoli riti quotidiani. Ma spesso ciò che sembrava funzionare diventa, senza accorgercene, un’abitudine stanca. Si lavora per inerzia, si risponde per dovere, si accolgono clienti e incarichi che non accendono più nulla.
In questo contesto, l’econolismo® ci offre una bussola potente. Si tratta di un approccio integrato che unisce pragmatismo economico e consapevolezza interiore, aiutandoci a leggere la realtà professionale non solo in termini di risultati, ma anche di risonanze profonde, relazioni, coerenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo. Possiamo ricominciare da noi!
A interrogarci su che tipo di energia emaniamo e su come questa energia si traduca in ciò che attiriamo. I clienti che arrivano non sono casuali. Sono la risposta precisa a ciò che trasmettiamo. Sono il riflesso della nostra coerenza, dei nostri limiti, delle nostre ambiguità. Per questo, se desideriamo cambiare clientela, dobbiamo prima cambiare noi. Non nel senso di diventare “altri”, ma nel senso di riallinearci con ciò che siamo davvero. Riscoprire cosa ci fa battere il cuore nel nostro lavoro, quali tipi di relazioni ci nutrono, quali valori vogliamo incarnare. È un percorso di consapevolezza profonda, che ha bisogno di domande sincere e anche di tempo. Ecco perché l’ozio creativo non è un lusso: è una innovazione necessaria.
Ma non ci siamo solo noi. C’è anche chi lavora con noi: i collaboratori, i colleghi, il personale di studio. Anch’essi sono parte integrante del campo energetico che creiamo. E anche loro sono, in un certo senso, specchio e amplificatore del nostro stile professionale. Se ci circondiamo di persone che non condividono il nostro approccio, che remano contro, che generano tensione, forse è il momento di chiederci: che tipo di squadra sto costruendo? E perché proprio quella? Forse non abbiamo mai comunicato con chiarezza la nostra visione. Forse ci siamo accontentati, o abbiamo lasciato che tutto si strutturasse “da solo”, senza una direzione consapevole. Ma anche in questo caso, cambiare è possibile!
Cominciando da noi. Dalla nostra capacità di essere esempio, ispirazione, coerenza. Un leader autentico non impone: trasmette. E se la visione è chiara, le persone giuste arriveranno. Chi non si riconosce più nel progetto se ne andrà. Anche qui, in modo quasi naturale.
Come scegliere i clienti giusti, quindi? Come costruire una rete relazionale che ci faccia crescere, che ci stimoli, che ci faccia sentire vivi? La risposta non sta in strategie complesse, né in tecniche persuasive. Sta nella nostra energia. Se andiamo al “ristorante della vita professionale” senza sapere cosa vogliamo mangiare, finiremo per accettare qualsiasi piatto ci venga offerto. Magari buono, magari no, ma raramente nutriente. Occorre sapere con chiarezza cosa si desidera. Occorre definire un’identità professionale chiara, coerente, pulita. E poi esprimerla in ogni dettaglio: nel modo in cui rispondiamo al telefono, nella chiarezza dei preventivi, nella qualità del nostro sito, nel tipo di post che pubblichiamo, persino nella cura con cui allestiamo lo studio. Le persone percepiscono tutto questo, anche se non ne sono pienamente consapevoli. E reagiscono di conseguenza.
È un cambiamento sottile, ma profondo. Non si tratta di “fare di più”, ma di “essere meglio”. Di allinearci con ciò che ci rappresenta, e lasciare che il resto accada. I clienti che non ci corrispondono più? Se ne andranno da soli. I collaboratori che non condividono più il progetto? Troveranno altre strade. Al loro posto, arriverà chi è pronto a crescere con noi. Ma tutto comincia da una scelta: quella di fermarsi e ascoltarsi. Di usare questo agosto, questo tempo sospeso, come una culla per idee nuove, per visioni più ampie, per decisioni più audaci. Perché lo studio non è solo un luogo dove si lavora: è un ecosistema che può fiorire solo se noi, per primi, scegliamo di fiorire.
Quando tu cambi davvero, tutto intorno a te cambia. E ciò che prima sembrava casuale diventa perfettamente coerente con la tua nuova direzione.