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L’importanza di aiutare a capire

Autore: Ester Annetta
Manuel è un adolescente educato e rispettoso, anche se non è uno studente volenteroso. Si impegna lo stretto indispensabile, quel “q,b.” adeguato a fargli sfiorare la sufficienza per poi confidare nel buon animo degli insegnanti per l’arrotondamento.
Viceversa, ha affinato in maniera superba l’arte di inventare motivazioni inattaccabili o spiazzanti per giustificare la propria impreparazione. Gli insegnanti lo sanno e, perlopiù, lasciano correre, concedendogli sempre una seconda possibilità cui, a onor del vero, ottempera puntualmente, sebbene con la consueta stitica resa.

Da qualche giorno, tuttavia, ha un’aria triste e preoccupata, troppo costante per essere una maschera di circostanza. È spesso distratto, sembra vagare con la mente chissà dove e pare ridotta persino quell’ossessiva dipendenza che ha dal suo telefonino, causa frequente di richiami da parte dei vari Prof quando lo sorprendono a smanettarlo nascosto dal ripiano del banco.

A inizio settimana, non ha atteso che l’indice (figurato, dacché c’è il Registro Elettronico) dell’insegnante di turno - affannato dalla chiusura delle interrogazioni di fine quadrimestre -si fermasse sul suo nome per estrarre dal cilindro l’ennesima motivazione a sostegno della propria impreparazione: prima ancora che l’appello iniziasse, “si è costituito” alla cattedra dicendo di aver trascorso il week end ad aiutare la madre a preparare scatoloni per via di un imminente trasloco.
Circostanza stavolta appurata, a quanto pare, in quanto anticipata da sua madre stessa nel corso di uno di quegli estenuanti colloqui pomeridiani con i docenti tenutosi prima delle vacanze di Natale.

Perciò, ritenendo che quella sua aria triste fosse imputabile al cambiamento imposto dal trasloco, ho pensato di avvicinarmi a Manuel per domandargli come stesse.

Continuando a mantenere lo sguardo basso e un’aria mesta, mi ha esposto un resoconto che, al netto delle parti evidentemente più fantasiose, mi ha alquanto lasciata perplessa.

Ha esordito dicendo che è un bruttissimo periodo: il ristorante gestito dalla sua famiglia ha dovuto chiudere ed il trasloco non è stata una scelta ma una necessità dovuta ad uno sfratto.

Quando gli ho chiesto il motivo della chiusura del ristorante ha risposto testualmente: “Lo Stato dà gli aiuti solo a quelli che hanno più di 60anni per poter tenere aperte le loro attività; quelli che, come mio padre, sono più giovani, sono lasciati colare a picco. Lo sa che è nata anche una società che si chiama “Suicidi di Stato” che è formata da tutti i ristoratori che si vogliono suicidare perché lo Stato non li aiuta? Ora papà sta lavorando al ristorante di un suo amico ma spera che potrà di nuovo riaprire il nostro locale”.

Riguardo al trasloco mi ha invece precisato che al momento non sanno ancora dove andranno: “stanno aspettando una telefonata” (ha detto proprio così) da qualcuno che dovrà dar loro la disponibilità di un nuovo alloggio e, intanto, preparano gli scatoloni.

Sono rimasta molto spiazzata dal quadro che Manuel mi ha tracciato, tanto da non riuscire a replicare in alcun modo. Mi sono chiusa anch’io in un silenzio di riflessione cercando di vagliare la veridicità di quelle informazioni.

Confesso di non sapere molto sui meccanismi richiesti dalle recenti politiche economiche Covid per l’accesso ai ristori (chiedo dunque venia a tutti voi lettori commercialisti!); tuttavia non mi pare affatto che vi siano contemplate condizioni d’età. Perciò, delle due l’una: o ci sono altri tipi di sussidio più genericamente accessibili agli imprenditori in difficoltà (ignoro anche questo) - dunque indipendentemente dalla contingenza Covid - oppure a Manuel è stata raccontata una pietosa bugia per velare una qualche ben più triste verità, nell’intento di proteggerlo.

Quanto alla “Suicidi di Stato”, effettuando una ricerca in rete ho effettivamente trovato che esiste un’associazione denominata “Piccoli imprenditori e Suicidi di Stato” che, sotto l’egida d’uno slogan che recita “la dignità umana non cessa di essere un diritto inalienabile in nessuna circostanza! “, si propone di offrire sostegno legale, economico e psicologico (attraverso una rete composta anche da professionisti specializzati nell’applicazione della Legge n. 3/2012 sulla Composizione della crisi da sovraindebitamento, nota più comunemente come anti-suicidi, appunto) a quei piccoli imprenditori sopraffatti dai debiti, seguendoli dall’inizio alla fine in un “percorso di recupero” finalizzato a risollevarne le sorti anche come persone, oltre che come esercenti.

La verità nascosta a Manuel potrebbe quindi essere quella di una umiliante esposizione debitoria che deve far vergogna raccontare a un figlio in tutta la sua drammaticità. Meglio allora dar la colpa ad altri.

E’ comprensibile; ciò che però più mi impressiona è la percezione – evidentemente distorta - che un ragazzo di appena quattordici anni, condizionato dall’acredine e dallo scoraggiamento d’un genitore in difficoltà (massima figura di riferimento a quell’età), possa avere di realtà molto più grandi di lui, come queste gli vengano prospettate e verso quali conclusioni sia inevitabilmente portato a giungere, formandosi perciò, da lì in poi, nella convinzione d’essere immerso in una società tiranna, vittima d’uno Stato che privilegia gli interessi di alcuni piuttosto che d’altri, e dove quindi anche le appartenenze a categorie (d’età, di classe o d’altro ancora) sono considerate condizioni di differenza che portano a disuguaglianze.

Allora non illudiamoci che i nostri figli siano troppo ingenui e distratti per comprendere ciò che accade loro intorno: è vero che sono perlopiù avvinti dal fascino dei falsi miti delle serie TV, condizionati dai modelli inarrivabili proposti dai social che seguono o – come spesso sentiamo dire – lobotomizzati dall’abuso di video giochi.

Hanno però anche occhi e orecchi attenti, attraverso cui, se non hanno adeguato supporto interpretativo, giungono a disegnarsi schemi di realtà talmente alterata che di fatto risulta non meno dannosa né meno condizionante di quegli altrove fittizi in cui spesso si rifugiano. E se non la comprendono, la subiscono.

Restiamo all’erta, dunque; aiutiamoli a capire.

Sono loro la generazione del dopo di noi: non facciamone una massa di rabbiosi, prevenuti, contestatori e sfiduciati.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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