13 giugno 2020

La fase 3

Autore: Ester Annetta

Come già fu per un ben più noto D-day, cade di giugno anche l’inizio di questa nostra nuova missione: il ritorno alla normalità.

Usando un’espressione che non ha nulla del gergo militare ma che, ugualmente, serve ad etichettare un passaggio importante, il 15 giugno, il giorno della definitiva e completa ripartenza, coincide infatti con una sorta di liberazione o, meglio, con la caduta d’ogni residuo divieto che ancora ostacolava la ripresa di qualche attività: è l’inizio della tanto attesa Fase 3, quella che, pur mantenendo ferma la condizione della convivenza col virus, taglia finalmente fuori l’emergenza.

Da lunedì riaprirà tutto. Riapriranno infatti i centri estivi (per bambini dai tre anni in su), i cinema e i teatri (tanto al chiuso che all’aperto), gli spazi culturali, le attività convegnistiche e persino le discoteche, sebbene nel rispetto di rigide (e a volte grottesche) norme che ancora ne condizioneranno numeri e modalità d’accesso e permanenza, secondo le indicazioni con cui un nuovo DPCM avrà reso ufficiali le linee guida frattanto approvate dalla Conferenza Stato Regioni.

Alcune di quelle regole, in tutta sincerità, rasentano la bislaccheria, tanto da sembrare una sorta di vera e propria parodia di quella che, con ogni evidenza, non può ancora essere la normalità: nelle discoteche, per esempio, se sono al chiuso, non si potrà ballare e bisognerà comunque continuare a mantenere la distanza interpersonale di un metro; se invece sono all’aperto, si potrà ballare ma la distanza diventerà di due metri. Inoltre non si potranno consumare al bancone drink e bevande, che andranno perciò ritirate (osservando rigorosamente la fila!) e consumate a distanza: solo per questo scopo sarà quindi possibile togliere la mascherina che, altrimenti, dev’essere indossata sempre se si è al chiuso e solo in mancanza di adeguate distanze se si è all’aperto. Ovviamente si potrà entrare unicamente previa prenotazione o acquisto di biglietti online e fino ad un limite di capienza prestabilito.

Condizioni più o meno analoghe varranno per cinema e teatri, dove si potrà entrare fino ad un massimo di duecento persone, se al chiuso (ovviamente il numero varierà in proporzione alla capienza delle sale), mille se all’aperto, sempre con obbligo di mascherina e di distanza interpersonale (che ancora non è chiaro se varrà anche per chi è in coppia).

Parrebbe tutto ma tutto non è, poiché restano ancora serie voragini da colmare per ambiti che – senza nulla voler togliere ai luoghi di svago e divertimento – ne avrebbero ben donde d’essere disciplinati adeguatamente e, soprattutto, in tempi celeri.

Il decreto scuola appena varato ha messo qualche toppa alla disciplina dei prossimi concorsi, ai criteri di svolgimento degli esami, al funzionamento delle graduatorie; ma il tema più importante – quello del rientro in aula a settembre - resta ancora avvolto in una nebulosa che certo le proposte barriere di plexiglas(s) – con una o due esse che sia – non consentono di dissipare.
Per non dire, poi, dei Tribunali che – nonostante la dichiarata ripresa delle udienze a maggio, arrancano ancora in una palude di accessi non consentiti e processi fermi.

La dubbiosità decisionale sembra ormai divenuta una condizione ordinaria, tanto che quasi neanche sorprendono più quelle repentine inversioni di tendenze che fanno sì che “piani” accolti ed osannati il giorno prima siano declassati a “contributi” il giorno dopo.

E, come se non bastasse, mentre da un lato ancora si proclamano inviti alla responsabilità, alla prudenza, al distanziamento, si lasciano correre inopportuni raduni che, all’insegna dei colori di gilet o di bandiere, si trasformano in insidiosi contesti di contagio.

Viene allora da chiedersi se davvero siamo pronti e preparati al varo di questa Fase 3 o se, piuttosto, una volta imboccato il sentiero della quasi-normalità, non ci sia la tentazione di scivolare in una normalità-tutta-intera che ancora non può trovare dimora e dove, osservate solo in un primo momento regole e prudenze, si finisca poi inevitabilmente per “sforare”, cedendo a quella leggerezza che renderà le precauzioni opinabili o lascerà che, tenendo con fare guascone la mascherina calata sotto il mento, le distanze siano misurate “a occhio” senza alcun severo metro, né di misura nè di giudizio.

Qui si pone allora una questione di coscienza, dove ogni criterio decisionale potrà risultare sano ove sia passato per la convinta accettazione di un dramma realmente e concretamente vissuto; che – in barba a qualsiasi ipotesi complottista - 34mila morti e più li ha davvero contati; che è passato nelle nostre case, nelle nostre vite, tra i nostri affetti e che non dev’essere dimenticato né sottovalutato, neppure ora che quel tempo comincia a sembrare distante mentre diventa nuovamente attuale un presente interrotto.

Non c’è ancora, non può esserci, il ripristino di un “quo ante” che ignori e cancelli l’”inter” che c’è stato: la ripresa deve esserci, ma con ragionevolezza e con la consapevolezza che un saluto dato di gomito o un flaconcino di gel igienizzante all’ingresso di ogni luogo frequentato non possono bastare a tenerci al sicuro da un nemico che ancora non abbiamo sconfitto.

Ora è il momento di dimostrare reciproco rispetto l’uno per l’altro, di autodisciplinarci alla correttezza ed alla prudenza, poiché è evidente che se non può esserci per ciascuno di noi, un tutor o un “assistente” pronto a raddrizzare i passi falsi, è solo vicendevolmente che potremo proteggerci.

Uomo, cittadino, popolo: come direbbe il sommo poeta, “Qui si parrà la tua nobilitate”.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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