9 novembre 2019

La notte in cui il muro crollò

Autore: Ester Annetta

Era la notte del 13 agosto del 1961 quando, per frenare l’incessante esodo che dalla povera economia sovietica dei territori dell’Est spingeva gente comune, professionisti ed intellettuali a cercare condizioni di vita migliore nei prolifici territori della parte occidentale –il governo della Repubblica Democratica Tedesca ordinò di fissare 155 chilometri di filo spinato, impedendo di fatto la libera circolazione tra la Germania Est e quella Ovest.

Nei giorni seguenti, il filo spinato sarebbe stato sostituito da mattoni e cemento, un muro che, per i successivi 28 anni, avrebbe diviso in due la città di Berlino e, con essa, due mondi e due realtà, divenendo il simbolo della cortina di ferro, la linea di confine europea che, durante la guerra fredda, avrebbe scandito la divisione tra le zone controllate da Francia, Regno Unito e U.S.A. e quella sovietica.

Era dal termine della seconda guerra mondiale che si era creata la frattura tra comunisti ed alleati; Berlino era stata divisa in quattro zone (sovietica, statunitense, francese e inglese) ma, col tempo, la distanza tra le parti si era allargata ulteriormente, fino a diventare tangibile (con la creazione persino di simboli e monete diverse) oltre che ideologica. La Nazione tutta era stata separata, dando vita e due mondi, opposti eppure conviventi. Nel 1949 la frattura era stata, infatti, rimarcata con la nota divisione tra le tre zone occidentali (statunitense, francese e britannica) da un lato, denominate Repubblica Federale Tedesca, e la parte orientale (sovietica) dall’altra, denominata Repubblica Democratica Tedesca.

La stessa Berlino era rimasta divisa in una parte Est ed una Ovest, sebbene tra le due zone fossero stati lasciati aperti 81 punti di passaggio.
Fino all’erezione di quel muro.

Una parete di cemento alta circa 4 metri, armata di cavi di ferro e affiancata dalla "striscia della morte", un fossato guarnito di filo spinato costeggiato da una strada dove circolavano costantemente i veicoli militari. E, ancora, allarmi, torri di vigilanza, pattuglie di militari accompagnate da cani, operative per tutto il giorno lungo i 43 chilometri di “tratto urbano” del muro. Il resto era protetto da recinzioni.
Passare da una parte all’altra della città da quel momento in poi divenne impossibile.

Chi avesse avuto parenti, amori, affetti al di là del muro avrebbe dovuto rassegnarsi all’idea di non vederli più, a meno che non avesse voluto rischiare la vita nel tentativo di oltrepassare clandestinamente quella barriera.

Fra il 1961 e il 1989 furono più di 5.000 le persone che cercarono di scavalcare il muro ricorrendo ai sistemi più strani e rocamboleschi (nel Museo del Muro di Checkpoint Charlie ne sono raccontati diversi!) e più di 3.000 furono quelle catturate ed imprigionate; circa 100 morirono; l’ultima, il 5 febbraio 1989.

Nonostante le proteste occidentali (tra cui il famoso discorso di Kennedy del ’63, durante il quale il Presidente americano dichiarò "Ich bin ein Berliner"- io sono un Berlinese), il muro di Berlino continuò per molti anni a dividere.

Fu solo negli anni ‘80, sotto la presidenza di Mikhail Gorbachev, che il blocco sovietico cominciò timidamente ad aprirsi.

Ed infine qualcosa cambiò.

Nel maggio del 1989 venne aperta la frontiera fra Austria e Ungheria: quest’ultima era ormai divenuta meta di tanti tedeschi che ogni giorno chiedevano asilo nelle differenti ambasciate della Repubblica Federale Tedesca.

A quella decisione seguirono richieste analoghe che diedero luogo a diverse manifestazioni ad Alexanderplatz.

Finché il 9 novembre 1989, poco prima delle 19, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca annunciò che il divieto di raggiungere la zona ovest della città veniva annullato. Circa un anno dopo, il 3 ottobre del 1990, la Germania si sarebbe riunificata definitivamente.

Sono passati esattamente trent’anni da quella straordinaria “rivoluzione pacifica” che ha per sempre cambiato la storia d’Europa.

Quel 9 novembre, dopo l’annuncio del portavoce di governo, migliaia di persone si radunarono nei punti di controllo per attraversare l’altro lato del muro. E nessuno li fermò.

Le guardie, anzi, alzarono le sbarre dei controlli consentendo il libero passaggio.

Le immagini di quella notte sono ancora impresse nella memoria del mondo, che ha assistito all’infrangersi di quella barriera fisica, ideologica e politica, tra lo stupore, la gioia e le lacrime di chi, dopo 28 anni, rincontrava finalmente amici e familiari e poteva riabbracciarli.

Braccia che tiravano su altre braccia, figure che si issavano sul bordo del muro, picconi che creavano brecce nel cemento, sollevando una polvere che ricopriva capelli, visi, abiti, come fosse il sacro crisma di una nuova vita.

Quella notte fu una notte di festa, fatta di canti, bottiglie che si stappavano, fiaccole che ardevano, braccia che si stringevano.

E su tutto, il rombo di un grande, potente grido: Libertà!

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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