Rimani aggiornato!
Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.
Parafrasando in tal modo Carver, si potrebbe reclamare la necessità che sia quanto prima fatta luce – e, soprattutto, nella maniera più univoca e coerente possibile – sul destino della scuola, che, in questa attuale fase di allentamento dell’emergenza epidemiologica, è forse rimasto l’ultimo degli ambiti in cui un protocollo di ripartenza non sia stato ancora confezionato.
La questione, anzi, pare doppiamente complessa poiché alla fatica di ricercare le modalità per garantire un corretto e sicuro rientro a scuola, per il nuovo anno scolastico, si somma quella di trovare definitivamente la quadra per la soluzione della vicenda della stabilizzazione dei precari.
All’indomani della pubblicazione dei bandi di concorso ordinario e straordinario finalizzati all’acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento, alla conquista della cattedra ed all’immissione in ruolo dei docenti con almeno trentasei mesi di servizio, ha preso il via una sequenza di interventi, di proposte, e di richieste di emendamenti al testo del decreto scuola ormai prossimo alla conversione cui è spesso conseguito che decisioni prese la sera siano state rinnegate l’indomani mattina, insieme a tutta un’altra serie di conferme e smentite che non hanno fatto altro che alimentare ulteriormente la confusione.
Crocette sì, crocette no; prova scritta o prova orale; prova selettiva o non selettiva; sì al bonus cultura anche ai precari… anzi, no, ci abbiamo ripensato; è necessario riaprire l’anno scolastico senza vuoti di cattedra… ma forse pure il contrario va bene lo stesso, si riempiono strada facendo, a ottobre, novembre, dicembre… intanto ci si risparmia di pagare qualche mese di stipendio; servono assolutamente insegnanti specializzati sul sostegno… ma tutto sommato si può tirare avanti ancora per un po’ attingendo in tutte le altre graduatorie e chissenefrega se manca il titolo specialistico: chi intanto l’ha acquisito se lo tiene da conto, intanto comunque fa punteggio; graduatorie provinciali o d’istituto? Facciamo a testa o croce; le graduatorie d’istituto per quest’anno non si rinnovano ma, forse, a pensarci bene, è meglio rinnovarle: ma non per tre anni, ne bastano due…
Non è una parodia, purtroppo, ma esattamente la maniera schizofrenica con cui, ormai da settimane, agiscono i nostri politici, scontrandosi in una interminabile partita dove pare si sia perso di vista che l’obiettivo da raggiungere è ben altro che la vittoria dell’una o l’altra bandiera.
C’è in ballo il futuro stesso dell’istruzione; la riqualificazione della scuola e dei suoi insegnanti, reduci da una serie di interventi di riforma rivelatisi perlopiù fallimentari; la necessità di rivedere metodologie, formazione, valutazioni; il bisogno di realizzare interventi inclusivi per la disabilità che si traducano in azioni concrete anziché rimanere semplici enunciati. E, su tutto, c’è la necessità di agire di conseguenza nel riorganizzare gli spazi della scuola, partendo dall’assunto che essa è e deve rimanere luogo di socializzazione, di aggregazione e di comunicazione reale e, pertanto, la didattica a distanza non può che essere una soluzione emergenziale e non definitiva.
Passi che l’inopportuna dichiarazione resa a inizio della pandemia dal Ministro dell’Istruzione circa la sicurezza che per quest’anno non ci saranno bocciature abbia indotto buona parte della popolazione studentesca a ritenere ormai chiuso a marzo l’anno scolastico; passi che – anche in questo caso – siano state date indicazioni incerte e contraddittorie circa modalità di svolgimento degli esami, criteri di valutazione, debiti scolastici, assenze, recuperi; passi che, dopo la curiosità e la novità iniziali, le videolezioni abbiano rivelato tutta la loro inadeguatezza, essendosi perlopiù tradotte in un aumento della fatica a fronte di una inversamente proporzionale resa degli apprendimenti; ma quello che non deve assolutamente passare è il messaggio che la scuola serva solo a fornire conoscenze (o, peggio, nozioni) indipendentemente dalla maniera in cui ciò avvenga.
Essa deve invece restare uno di quegli ambienti in cui si agisce per alla realizzazione di un più complesso e completo progetto di vita per coloro che saranno gli uomini e le donne di domani, tenendo conto delle loro capacità, delle loro attitudini, delle loro inclinazioni: compito, questo, di cui il fattore relazionale costituisce elemento imprescindibile.
Le attuali generazioni di ragazzi ed adolescenti già nei loro ambienti domestici tendono ad abbandonarsi alla deriva di spazi fittizi, in cui le comunicazioni e le relazioni virano ad essere esclusivamente virtuali; la scuola deve invece muoversi nella direzione opposta, contribuendo ad attrarli verso contesti fatti di rapporti reali, di scambi interpersonali, di fisicità piuttosto che assecondare la tendenza all’isolamento e favorendo un pericolosissimo “autismo digitale”, che, alla lunga, rischia di inficiare la capacità degli individui di riconoscere ed accogliere i propri simili.
Questo bisognerebbe che fosse chiaro a chi, per il nuovo anno scolastico, propone soluzioni fantasiose (quali bislacche divisioni delle classi quasi fossero squadre, dove parte degli alunni gioca in casa e altri fuori casa), entusiasmandosi per la (ritenuta) efficienza dimostrata dalla didattica online che, quindi, è giusto vada potenziata.
All’opposto, garantire il bisogno di fare gruppo, di stare con gli altri e di contrastare il divario comunicativo e la carenza di rapporti umani cui soccombono le generazioni digitali è l’obiettivo cui - oltre che la didattica - si dovrebbe mirare, con un impegno anche maggiore di quello invece attualmente profuso nel voler dotare ogni studente d’uno strumento teso a ridurre il divario digitale.