20 marzo 2021

Le regole delle varianti

Lo scorso 13 marzo l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato il rapporto n. 4/2021 - diffuso con circolare del 15 marzo 2021- contenente “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti COVID-19”.

Il documento – redatto dal Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle Infezioni, composto da ISS, Ministero della Salute, Aifa e Inail, (il testo è consultabile sui rispettivi siti istituzionali) - risponde a diversi quesiti sulle misure farmacologiche, di prevenzione e controllo delle infezioni da Coronavirus sorti con il progredire della campagna vaccinale contro il contagio e la comparsa delle diverse varianti del virus (ora note come VOC - Variant Of Concern).

Pur precisando che le conoscenze sulle nuove varianti virali siano ancora in via di consolidamento, il documento fornisce specifiche indicazioni, basate sulle evidenze ad oggi disponibili, che possano essere di riferimento per l’implementazione delle strategie di prevenzione e controllo dei casi di Covid-19 dovuti a tali varianti, con particolare riferimento all’utilizzo dei dispositivi di protezione ed alle regole di distanziamento richiesti anche a chi sia stato già vaccinato.

Si ricorda che le tre varianti oggetto di studio e che attualmente destano particolare preoccupazione, sono la VOC 202012/01 identificata per la prima volta nel Regno Unito, la 501Y. V2 (denominata anche B.1.351) identificata in Sudafrica e la P1 con origine in Brasile. La prima, in particolare, è caratterizzata - com’è noto – da una maggiore capacità diffusiva: ad essa è infatti ormai imputabile oltre il 50% dei casi di infezione a livello nazionale.

Il documento si articola sostanzialmente in due capitoli, dedicati rispettivamente alle Misure di prevenzione e controllo non farmacologiche e a quelle farmacologiche (vaccinazioni), da porre in essere per contrastare la diffusione del virus originario e delle nuove varianti.

Con riguardo alle prime, il testo contiene in particolare una precisazione relativa al distanziamento fisico: non essendoci evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa delle nuove varianti virali, si ritiene che un metro rimanga la distanza minima da adottare e che sarebbe tuttavia opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri, laddove possibile e specialmente in tutte le situazioni nelle quali venga rimossa la protezione respiratoria (come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo).

Con riguardo alle misure farmacologiche, il documento ribadisce anzitutto l’efficacia dei tre vaccini attualmente in uso, indicandone anche i tempi di reazione: il vaccino della BioNtech/Pfizer protegge al meglio a partire da circa una settimana dopo la somministrazione della seconda dose di vaccino, che deve essere somministrata a distanza di 3 settimane (21 giorni) dalla prima; il vaccino Moderna, che prevede la somministrazione di due dosi a distanza di 4 settimane l’una dall’altra (28 giorni), fornisce una protezione ottimale dopo due settimane dalla seconda dose; il vaccino prodotto da AstraZeneca attiva la protezione circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose e persiste fino alla dodicesima settimana, quando deve essere somministrata la seconda dose.
La protezione riguarda, peraltro, le forme clinicamente manifeste di COVID-19 (cioè la malattia sintomatica), mentre – com’è stato spesso ribadito - non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione (malattia asintomatica), ed è dunque possibile che esse possano ancora contrarre il virus SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti, tanto più che la protezione vaccinale non raggiunge mai il 100%.

Si precisa, inoltre, che i dati sulla capacità neutralizzante dei tre vaccini attualmente in uso nei confronti delle varianti sono al momento ancora frammentari e che per nessuno di essi è ancora nota, al momento, la durata della protezione ottenuta.

Fatta questa premessa, il documento chiarisce, dunque:

  • che anche chi sia stato vaccinato (con una o con entrambe le dosi di vaccino) deve continuare a rispettare - sia nell’ambiente di lavoro che fuori - tutte le misure di prevenzione (distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani);
  • che se una persona viene in contatto stretto con un caso positivo per SARS-CoV-2 secondo le definizioni previste dalle Circolari del Ministero della Salute, deve essere considerata un “contatto stretto” anche se vaccinata, e devono, pertanto, essere adottate tutte le disposizioni prescritte dalle Autorità sanitarie.1

A prescindere, quindi, dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione, la persona vaccinata considerata “contatto stretto” deve osservare - purché asintomatica - un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione e sottoporsi a test antigenico o molecolare (che deve avere esito negativo) in decima giornata, oppure di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, qualora non si sottoponga al predetto test.

Il documento ribadisce, inoltre, chiaramente, che la risposta immunitaria al vaccino può variare da soggetto a soggetto anche in base alle caratteristiche individuali della persona (es. età anagrafica) oppure a condizioni cliniche concomitanti (es. immunodeficienza, specifiche comorbosità) e, pertanto, anche i soggetti vaccinati, seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da SARS-CoV-2.

È pure possibile che una persona vaccinata risulti positiva a SARS-CoV-2 perché si infetta nei giorni immediatamente successivi alla vaccinazione, in quanto l’organismo necessita di un tempo minimo per sviluppare una completa risposta immunitaria protettiva, o perché al momento della vaccinazione, potrebbe essersi già infettata e trovarsi senza saperlo in fase di incubazione;

  • che le persone esposte ad un caso noto di COVID-19, identificate come “contatti stretti”, devono terminare la quarantena di 10 o 14 giorni prima di potersi sottoporre a vaccinazione;
  • che il vaccino può essere somministrato indipendentemente da una pregressa infezione sintomatica o asintomatica da SARS-CoV-2.

Ai fini della vaccinazione, non è richiesto di eseguire test diagnostici per accertare una pregressa infezione.
Per i soggetti con pregressa infezione, decorsa in maniera sintomatica o asintomatica, è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino, purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro i 6 mesi dalla stessa. Tuttavia i soggetti con immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, pur con pregressa infezione da SARS-CoV-2, devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi.

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1Per “contatto stretto” – giova ribadirlo - si intende l’esposizione ad alto rischio a un caso probabile o confermato di Covid, che si verifica a carico di: una persona che vive nella stessa casa di un caso accertato di Covid; una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso Covid (per esempio la stretta di mano); una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso Covid a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti; una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso Covid in assenza di DPI (es. FFP2, FFP3, guanti) e dispositivi medici appropriati (es. mascherine chirurgiche).

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