24 ottobre 2020

Lo scenario 3

Autore: Ester Annetta

Con un dettagliato documento di 129 pagine, denominato “Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale”, pubblicato lo scorso 12 ottobre, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno ripercorso le fasi evolutive della pandemia da Covid-19 in Italia nei mesi appena trascorsi (da dicembre 2019 a settembre 2020), considerando anche i vari livelli di gravità con cui l’aggressione del virus si è manifestata a carico degli organismi ospiti nonché la gestione clinica dei casi e le terapie farmacologiche messe in atto.

Ma la parte più interessante del documento è quella che potrebbe definirsi “dei pronostici”, in cui viene tracciato il quadro dei “possibili scenari epidemici nel periodo autunno-invernale in Italia”.

L’impiego del termine “scenario”, che, nel suo significato letterale rimanda alla finzione, all’apparato scenico che riproduce fittiziamente l'ambiente in cui si svolge l'azione teatrale, cinematografica o televisiva, sembra contrastare in modo stridente con la concretezza di una nuova emergenza, che è innegabilmente tale da quando l’avanzata dei contagi ha reso evidente l’avvento della tanto temuta seconda ondata.

Difatti, stando alle ipotetiche situazioni delineate dal documento, organizzate secondo un criterio di progressiva gravità, l’attuale stato di diffusione del virus ci colloca in un uno stadio che è poco al di sotto di quello di massima gravità.

Gli scenari delineati sono così descritti:

  1. situazione di trasmissione localizzata (focolai) sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020;
  2. situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa ma gestibile dal sistema sanitario nel breve-medio periodo;
  3. situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo;
  4. situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo.

L’Italia si troverebbe già nello “Scenario 3”, cui corrispondono:
  • “valori di Rt regionali prevalentemente e significativamente compresi tra Rt=1,25 e Rt=1,5” (laddove per Rt si intende il numero di riproduzione netto, ossia l’indice di trasmissibilità di un patogeno calcolata nel tempo in presenza di interventi), in cui si riesce a “limitare solo modestamente il potenziale di trasmissione di SARS-CoV-2 con misure di contenimento/mitigazione ordinarie e straordinarie”;
  • rapida crescita dell’incidenza di casi rispetto allo scenario 2);
  • mancata capacità di tenere traccia delle catene di trasmissione;
  • iniziali segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali in seguito all’aumento di casi ad elevata gravità clinica (con aumento dei tassi di occupazione dei posti letto ospedalieri - area critica e non critica).

Secondo il documento, stando così le cose, “la crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 2-3 mesi”. Tuttavia, qualora l’epidemia si diffondesse prevalentemente tra i più giovani, per i quali il rischio di sviluppare sintomi gravi è inferiore ed il ricorso all’assistenza ospedaliera si riduce, il margine di tempo entro cui intervenire si potrebbe allungare anche di molto.

Ma una maggiore diffusione del virus tra i più giovani non esclude comunque che esso continui a circolare e che colpisca anche anziani e altre categorie a rischio.

Il documento classifica poi il rischio di contagio su base settimanale e regionale, individuando quattro livelli (Rischio basso/molto basso: trasmissione del virus “limitata a cluster con catene di trasmissione note”, quindi tracciabili; Rischio moderato: il numero di positivi è in aumento e non tutte le catene di trasmissione sono note o identificate per tempo; Rischio alto/molto alto (per meno di 3 settimane consecutive): i cluster non sono più distinti tra loro, i nuovi casi non sono riconducibili alle catene di trasmissione note, aumenta gradualmente la pressione sul sistema di prevenzione; Rischio alto/molto alto (per 3 o più settimane consecutive): la trasmissione tra la popolazione è diffusa, i cluster non sono più distinti, i nuovi casi non sono correlabili a catene del contagio note, c’è una pressione ormai sostenuta per il sistema di prevenzione) ed indicando quali interventi porre in essere ai fini del contenimento, considerando tra le possibili misure - a seconda della gravità del rischio - anche l’isolamento dei positivi in luoghi separati dagli altri (“isolamento di coorte”), utilizzando per esempio gli alberghi, l’assunzione di nuove misure per l’aumento del distanziamento fisico, l’istituzione di zone rosse temporanee, l’interruzione delle attività sociali (culturali e sportive) con maggior rischio di assembramenti, l’eventuale interruzione di alcune attività produttive e restrizioni della mobilità tra regioni e nelle regioni.

Va precisato che il documento contiene preziosi suggerimenti, che però tali restano, non essendo connotati di alcuna obbligatorietà nei confronti del Governo che può dunque o meno attingervi nel prosieguo della scia di interventi emergenziali e temporanei con cui sta continuando ad operare.
In proposito, l’ultimo DPCM sembra aver scelto una linea “morbida”, con cui misure che sarebbero state necessarie sono state declassate a possibili, forse ritenendosi che non possa riproporsi la stessa situazione di gravità registrata a marzo-aprile o che non sia pensabile rimettere in ginocchio un Paese che sta ancora provando a rialzarsi dopo il lockdown, infliggendogli nuove misure troppo restrittive.

Non sempre è facile stabilire quanto il gioco valga la candela, ma qualora la posta diventi il l’eccessivo sacrificio di vite umane, alcune logiche andrebbero necessariamente accantonate, cosi quel che costi.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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