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Oltre

Autore: Ester Annetta
Troppo facilmente, quando si parla di migranti, l’attenzione dell’opinione pubblica si sofferma perlopiù sugli aspetti problematici dell’argomento, come se la sola alternativa possibile su cui intervenire con dispute o dissertazioni sia quella tra l’ennesimo – tragico - naufragio di barconi o lo specifico episodio o la situazione da stigmatizzare.

Altro pare non esserci, come se il fenomeno migratorio dovesse esaurirsi solo ed esclusivamente nella considerazione dei suoi risvolti negativi, che finiscono per diventare troppo spesso territorio di conflitto politico prima ancora che ideologico, amplificato tra l’altro dalla risonanza offerta dai mass-media.

Raramente ci si sofferma sulle singole storie, ed accade pressoché unicamente quand’esse si tingono d’orrore o di tragedia, lasciando affiorare quei tratti di umanità che troppo spesso si è portati a seppellire sotto il mantello occultante della generalizzazione.

Bisognerebbe invece andare oltre la semplice dicotomia pietà-rabbia e considerare quei tanti altri aspetti che, lungi dal prestarsi a facili e riduttive generalizzazioni, consentono di evidenziare vantaggi che andrebbero valorizzati, poiché di fatto possono tradursi in una risorsa per il nostro Paese, di quelle impiegabili stabilmente, non solo per il tempo d’un raccolto stagionale…

Il tema torna in auge proprio in questo tempo d’emergenza sanitaria, che vedrebbe la necessità di coinvolgere tra le file di medici e personale sanitario tanti professionisti stranieri che, pur avendo strumenti e competenze, sono invece condannati a restare invisibili.

Se non fossimo esasperati dal pregiudizio che ci induce ad etichettare ogni migrante che tocca le nostre sponde come un disperato senza arte né parte o, peggio, come un potenziale delinquente, comprenderemmo l’opportunità di rivedere anzitutto il concetto stesso di migrazione al plurale, nelle sue tante variabili, poiché la realtà del fenomeno non è solo quella concentrata sui temi degli sbarchi e delle richieste di asilo, ma quella che considera anche le diversità interne alla popolazione immigrata, che è varia non solo per provenienza ma anche per livello d’istruzione e qualifiche professionali.

Sul territorio italiano, secondo i dati dell’AMSI (Associazione Medici Stranieri in Italia), c’è un esercito di oltre 77mila professionisti della sanità (tra cui 22mila medici e 38mila infermieri) che potrebbero aiutare l'assistenza sanitaria nazionale. Ma di essi, circa l’80%, sebbene risieda in Italia da tanti anni, può invece esercitare solo nel settore privato o con contratti a termine, in quanto, secondo la normativa italiana, per i medici vale ancora la regola che a concorrere ai posti pubblici possano essere solo coloro che possiedono la cittadinanza italiana.

L'articolo 13 del decreto Cura Italia ha, a riguardo, previsto una sorta di “deroga emergenziale”, in quanto ha consentito l'esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie per il Servizio sanitario nazionale (quindi nel sistema pubblico regionale) anche se il titolo è stato conseguito all'estero: una parentesi, insomma, chiusasi col cessare dell’emergenza e che ha sostanzialmente lasciato che i medici stranieri finissero poi per condividere la stessa sorte toccata ai tanti loro colleghi italiani cui erano state promesse assunzioni e stabilizzazioni.

Ma non basta: accanto ai numeri noti ed ai professionisti più o meno integrati nel nostro sistema nazionale, tanti altri ce ne sono che potrebbero parimenti spendersi per la salute comune e che sono, invece, costretti a ripiegare su lavori ben più umili e modesti perché ancora molte sono le resistenze delle nostre istituzioni a riconoscerne titoli di studio e qualifiche professionali. Persino ora che di personale sanitario ce ne sarebbe un gran bisogno, tanto che si vorrebbero coinvolgere nell’emergenza non solo i medici di base ma perfino i veterinari!

Qualche sera fa nel finale della trasmissione “Le parole della settimana”, Massimo Gramellini ha raccontato la storia di Elena, una donna di 50 anni, ucraina, arrivata da poco in Italia ed entrata a servizio di una famiglia come badante d’una anziana signora, in nero. Si era subito accorta che la sua assistita presentava i sintomi del Covid e aveva allertato il figlio che, tuttavia, non l’aveva affatto presa sul serio. Finché non s’era ammalato a sua volta, insieme alla moglie. A quel punto, su indicazione del medico di famiglia, aveva chiamato il 118 e aveva chiesto un’ambulanza per sé, una per sua moglie ed una per sua madre. Elena, invece, l’aveva messa alla porta, nonostante lei pure si fosse ammalata. Si era così ritrovata in strada, con solo la sua valigia, e sarebbe morta lì se una ragazza non l’avesse soccorsa quando l’aveva vista accasciarsi a terra.

Si era risvegliata in ospedale, a Brescia, intubata. Due settimane dopo era uscita dalla terapia intensiva e aveva ringraziato i medici e la sua soccorritrice per non averla lasciata morire, ed il nostro Paese, “dove gli ospedali curano anche degli stranieri”. Al giornalista che le aveva chiesto cosa avrebbe voluto dire alla famiglia che l’aveva cacciata di casa e mandata per strada, ha risposto: “in questo momento non è importante parlare dei cattivi ma è importante parlare dei buoni, perché è solo mettendoli insieme tutti che ce la possiamo fare”.

Elena è un medico, ma in Italia quel titolo non le è riconosciuto.

È un medico e fa la badante. In nero.

Eppure non ce l’ha col nostro Paese, non ce l’ha con chi la tratta come un’invisibile. Anzi, con le sue parole, col suo perdono, ha dato a tutti una grande lezione d’umanità.

Potrebbe essere un ottimo medico, se non fosse una delle tante vittime di una sorta di “razzismo istituzionale” incapace di andare oltre la forma a vantaggio della sostanza.

Quando il fine ultimo è curare le persone, non dovrebbe esserci alcuna distinzione di razza, religione e schieramento politico; condividere la conoscenza e le buone pratiche, mettendosi a servizio del Paese dovrebbe allora essere una priorità, di fronte alla quale ogni ostacolo burocratico dovrebbe cadere.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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