17 ottobre 2020

Parole nuove

Le parole muoiono.

Autore: Ester Annetta

Anche quelle della nostra lingua, che hanno invero una vita piuttosto lunga: alcune trovano radici in tempi lontani, etimologie antiche e culle letterarie da cui sono discese grandi menti che si sono impegnate nel ritagliarne i connotati: da un porporato amante del lessico e della grammatica, quale fu Pietro Bembo - che contribuì in maniera decisiva alla codificazione dell'italiano scritto, cimentandosi nella redazione della grammatica più importante dell'intera storia dell'italiano, con le sue “Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua”- fino al lavoro, tuttora in atto, degli Accademici della Crusca, che dalla pubblicazione del primo Vocabolario (1621) hanno seguito le evoluzioni del lessico toscano e degli altri volgari da cui è derivato il nostro idioma attuale.

Le parole adornano, imbellettano, ammantano d‘eleganza o rinforzano di potenza, ricamano o scuciono, colorano o intenebrano frasi e discorsi; e, tuttavia, subiscono anch’esse un lento decadimento che, attraversando la fase agonizzante dell’uso sporadico, arriva infine al perimento. L’antico e forbito lessico viene scalzato da un vocabolario nuovo, composto d’altri termini ed espressioni che meglio ricalcano lo stile dei tempi moderni, la loro fretta, la loro scarsa attenzione alla bellezza ed all’eleganza, in nome di una immediatezza di comunicazione che bada più al contenuto del messaggio che allo strumento attraverso cui viene veicolato.

Così le parole si perdono, trapassano in un dimenticatoio cui di tanto in tanto si attinge per nostalgia o per curiosità ma non più per utilità.

In compenso si coniano termini nuovi o, peggio, si importano alle nostre latitudini parole d’altri, in risposta ad una forsennata esigenza di “globalità” che, almeno nella lingua, non avrebbe invero ragion d’essere, dovendo viceversa prevalere l’amor proprio, il rispetto della tradizione, la strenua difesa delle proprie radici e della propria cultura.

Gli anglicismi ci invadono, come pure parole nate da contesti contingenti prendono il sopravvento nella comunicazione quotidiana, sostituendosi a lemmi ben più adatti – di cui la nostra ricca e variegata lingua di certo non difetta! – omologando le espressioni, nell’illusione di una maggiore efficacia o immediatezza che, invece, altro non è che un impoverimento, una resa allo spicciolo.

Il periodo che stiamo vivendo, “l’era Covid”, è una di queste contingenze ed evidentemente contribuisce a mettere a segno la conquista di nuovi termini e frasari nonché a favorire l‘invasione aliena di parole che si teme forse non avrebbero lo stesso impatto o la stessa potenza se mantenute nella nostra lingua madre!

C’è un lessico da covid che è diventato virale (ecco, appunto!) ben più del virus stesso, che domina i nostri discorsi e le nostre conversazioni tracimando addirittura oltre gli argini del contesto cui inerisce, per essere mutuato altrove, in diversi ambiti e situazioni, quasi fosse metaforico, eufemistico o – perché no – pretenziosamente ironico. E, così, capita che di domenica non si vada più a pranzo dai parenti ma dai congiunti; che la temperatura non si misuri più con un termometro ma con un termoscan; che un paio di infettati staccati da un focolaio (termine anch’esso mai prima d’ora tanto abusato) diventino cluster; che un colpo di tosse o uno starnuto spargano intorno pericolosissime droplets; che allentare le misure di contenimento possa comportare il rischio di un rebound…

E poi naturalmente c’è “lockdown”, parola magica che, se all’inizio della pandemia si faceva fatica anche a ricordare, viene oggi impiegata in maniera talmente sovradimensionata da adattarsi a qualunque forma di “chiusura”: dal suo significato letterale di “confinamento” è passata infatti ad indicare tutte le possibili variabili dipendenti dalle misure adottate per il contenimento dell’infezione, dalla saracinesca abbassata dei negozi all’isolamento interpersonale (parente stretto, quest’ultimo, di quell’altro significativo “distanziamento sociale” che serve a rendere più suggestivo il concetto di “distanza fisica”).

Navighiamo in un mare magnum (che belle le locuzioni latine!) di parole che il correttore ortografico di word tuttora sottolinea con una tremula linea rossa, ricordandoci che non ci appartengono; e ci fregiamo d’essere esperti e competenti in campi in cui mai prima d’ora ci siamo imbattuti, solo perché siamo ormai capaci di infilare nei discorsi termini tecnici o ricorrenti: “R0”, “sierologico”, “immunità”…

Ma la fortuna, tutto sommato, è che si tratta di un lessico transitorio, che sebbene estremamente invasivo ed invadente, durerà per il tempo (si spera non troppo lungo) necessario al ritorno ad una normalità reale e non artefatta come quella attuale.

Allora probabilmente anche queste parole e queste espressioni ritroveranno la loro giusta collocazione o addirittura periranno; ma, a differenza che per quelle ben più antiche e nobili, non ne avremo nostalgia.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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