3 aprile 2021

Pasqua con chi vuoi

Autore: Ester Annetta

È il vecchio adagio con cui da sempre ci si è autolegittimati a dare alle feste pasquali una connotazione meno rigorosa rispetto a quella tradizionalmente e tenacemente familiare riconosciuta alle feste natalizie. E, del resto, Pasqua viene da sempre considerata una celebrazione cadetta, una festa che di straordinario ha solo la durata a confronto d’un semplice fine settimana, e che, quanto a sostanza, non è invece altrettanto sentita quanto Natale, il cui principi ispiratori di solidarietà, unità e condivisione sembrano essere vissuti a prescindere dai canoni della cristianità.

Ha perciò comunemente rappresentato l’occasione per concedersi una fuga, una vacanza intermedia prima di quella estiva, anche fuori dai confini nazionali qualora non ci si fosse accontentati della seconda casa al mare o in montagna, della città d’arte o del relais in costiera.

Per il secondo anno di seguito la pandemia ha posto un freno a questa voglia d’evasione, concedendo solo all’ultimo momento una bislacca tregua in base alla quale, fermo restando il rigore dei precetti imposti nella “zona rossa” - che, come già fu a Natale, vieta ogni spostamento, salvo a concedere l’eccezione delle visite ai parenti e del raggiungimento delle seconde case (purché, in tal caso, si porti a corredo dell’autocertificazione un titolo - l’atto notarile o la scrittura privata registrata – che dimostri di averne la proprietà o il possesso anteriori all’entrata in vigore del D.L. 14 gennaio 2021!) - è tuttavia permesso recarsi all’estero. Come dire, insomma, che se si vive a Roma non si può andare a trascorrere Pasqua a Firenze, ma si può tuttavia uscire dal proprio comune per raggiungere un qualunque aeroporto da cui parta un volo diretto verso una destinazione all’estero.

Ma quanti, poi, davvero approfitteranno di una tale concessione? Sarà davvero più forte il desiderio di concedersi una parvenza di ritorno a quella normalità divenuta ormai quasi chimerica o prevarranno, viceversa, il buon senso, l’insicurezza, la paura? E se invece fosse questa l’occasione per poter scegliere di trascorrere una Pasqua diversa, in cui restare a casa non debba essere avvertito come una costrizione ma come opportunità per restituire valore e senso a questa festa?

Sono cresciuta in un piccolo paese del Sud, di quelli dove le tradizioni rappresentano l’etichetta, il segno d’appartenenza vivo e concreto ad una comunità, e ad ogni evento, rito o ricorrenza è attribuito un valore inscalfibile, quasi sacro. Non sono immune al fascino ed alla magia del Natale, ma ho amato altrettanto la bellezza e la partecipazione con cui, in quella briciola di mondo, venivano vissuti i riti - religiosi e domestici - della settimana Santa, il coinvolgimento di ogni singolo membro di quell’unica, grande famiglia, spesso più vicino alla consuetudine ed alla tradizione che non ad un autentico e consapevole sentimento di fede, ma non per questo meno forte o profondamente sentito, scandito dal susseguirsi del lutto e del dolore dei giorni della passione fino all’esplosione di gioia finale dell’alba della Resurrezione.

Negli anni, ho cercato altrove quegli stessi riti, ritrovandoli magari accompagnati da altri usi o connotati d’altre sfaccettature; e, tuttavia, per quanto siano apparsi ugualmente efficaci, praticati e curati, non sono mai stati in grado di restituire la stessa emozione. La conseguenza è stata l’omologazione alla comune tendenza a considerare Pasqua una festa “minore” e il prevalente apprezzamento per la naturale coincidenza del suo periodo con il passaggio di stagione, il ritorno della primavera, una ritrovata energia.

La cattività imposta dalla pandemia, che, pur restando faticosa, s’accompagna ora più ad un sentimento di consapevolezza che non di paura, può allora forse essere un’occasione di riscoperta, di ritorno ad una memoria ed ad un tempo più significativi, di riflessione e riconsiderazione.

Anche Pasqua, benché senza luci, festoni e quel consumismo sfrenato che è ormai divenuto l’allegoria del Natale, ha la sua magia, che può risiedere nella gioiosità che l’accompagna (valsa a coniare quel paragone – “felice come una Pasqua” – spesso impiegato come luogo comune) o riemergere dai fondali della memoria annodata al vissuto d’un tempo migliore, ad un altrove contornato da valori e sentimenti che oggi resistono ancora solo nelle realtà più minute e distanti, dove le tradizioni non sono state ancora del tutto dismesse.

Il suo senso dovrebbe allora essere non quello d’una parentesi apolide e vacanziera ma, non diversamente dal Natale, quello d’un tempo per condividere, per riscoprire, per ritrovare e per ritrovarsi, nel segno di quella rinascita che – pur senza necessarie implicazioni di credo - può rappresentare per chiunque un rinnovamento, il rifiorire degli affetti, il ritorno ad una comunicazione diretta ed autentica, una nuova stagione dell’anima.

Sia questo allora l’augurio per questa Pasqua.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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