21 maggio 2021

Per la Commissione Europea la residenza fiscale è datata: pronto l’assalto alle imprese ed ai lavoratori digitali

Autore: Redazione Fiscal Focus

La pandemia covid-19 e le misure di contenimento che le si sono succedute tra il 2020 ed il 2021 hanno portato con sé un profondo cambiamento nel processo di acquisto di beni da parte del consumatore finale e, di conseguenza, un altrettanto profondo cambiamento nella delivery degli stessi beni.

Parliamo dell’accentuazione di un trend già in corso chiamato digitalizzazione dell’economia.

Nella comunicazione della Commissione Europea dello scorso 3 marzo dal titolo 2030 Digital Compass: the European way for the Digital Decade appare evidente come in un solo anno le tecnologie digitali siano diventate imperativi per il lavoro, l’apprendimento, l’intrattenimento, la socializzazione, lo shopping e l’accesso a servizi che spaziano dalla cultura alla salute.

Nella più recente comunicazione Business Taxation for the 21 century, la Commissione Europea pone l’accento su come la digitalizzazione sia stato un processo che ha normalizzato il fornire un servizio su un territorio in cui non si abbia la residenza fiscale.

Questo a significare che l’odierna riorganizzazione del lavoro e dei processi di delivery delle imprese porteranno con sé profonde trasformazioni anche da un punto di vista fiscale.

Cambiamenti che inducono la Commissione Europea a definire “outdated” la residenza fiscale.

Al momento, le aziende digitali possono fondare la loro struttura fiscale potendosi permettere pagare meno tasse di altre aziende tradizionali, mentre le tasse che pagano non beneficiano i Paesi in cui le loro attività si svolgono.

In assenza di una adeguata riformulazione fiscale capace di adattarsi alle nuove dinamiche di riorganizzazione aziendale e del mondo del lavoro sarà dunque molto difficile garantire per gli Stati membri dell’UE lo stesso livello di entrate correnti attraverso il sistema di tassazione. Questo prendendo anche in considerazione l’invecchiamento progressivo della popolazione europea che accresce le spese del welfare ma riduce le entrate provenienti dai contributi versati dai lavoratori.

Una disproporzione che non può mancare di riflettere sul fatto che, in maniera trasversale, se da una parte le tasse sugli stili di vita stiano discretamente funzionando, dall’altra quelle sui consumi sono ai loro massimi storici.

“Assicurare una adeguata riscossione delle imposte – scrivono dalla Commissione Europea – è vitale per sostenere servizi pubblici di qualità, ed è una precondizione per una equa ridistribuzione del carico fiscale tra i contribuenti – mentre - miliardi di euro sono persi ogni anno in Europa come conseguenza di frodi fiscali, evasione ed elusione”.

Una serie di policy sarebbe dunque necessarie anche per creare delle regole comuni sui livelli di corporate tax per evitare che si possa giocare allo stesso gioco con regole diverse, misure che dovrebbero essere accompagnate anche da una sempre maggiore efficacia nella amministrazione fiscale da parte degli Stati che faciliti la tax compliance.

Il primo pilastro di riforma sarebbe quello di adattarsi alle regole internazionali sulla tassazione dei profitti d’impresa che possa adeguarsi ai nuovi modelli di business, e quindi anche quelli che si fondano sull’abilità sempre più pervasiva di fare impresa in un determinato territorio senza essere fisicamente presenti. Questo sposterebbe la questione da una giurisdizione basata sulla residenza fiscale dell’impresa ad una fondata sul mercato e quindi sul diritto di tassare parte dei profitti di alcune imprese non residenti nei Paesi in cui quelle stesse imprese hanno una fetta dei loro consumatori. E di farlo attraverso una formulazione concordata di provvedimenti.

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