28 marzo 2020

Quando i pinoli vanno a ruba

Autore: Ester Annetta
Per quanto possa sembrare bizzarro, il furto di pinoli è divenuto, negli ultimi anni, una pratica molto frequente su tutto il territorio nazionale, in particolare in Liguria.

Si tratta invero di una merce molto ricercata: il costo attuale dei pinoli è di circa 70 Euro al chilogrammo, ma, in passato, ha sfiorato anche la soglia dei cento euro.

Per questo motivo pare sia nato una sorta di mercato clandestino, legato a furti su commissione gestiti da un vero e proprio racket: i pinoli verrebbero rubati presso supermercati e centri commerciali per essere poi rivenduti ad altri esercizi di minori dimensioni o a ristoratori.

Molti punti vendita, di conseguenza, si sono visti costretti ad applicare sulle confezioni di pinoli i dispositivi antitaccheggio.

Il furto più consistente si era verificato nell’ottobre del 2014 nei magazzini della ditta Noberasco, presso l’interporto di Vado Ligure, da dove erano sparite tonnellate di pinoli. Parte della refurtiva (per la precisione 135 scatole suddivise in cinque bancali) nelle settimane successive al furto, era poi stata ritrovata nel garage di un cinquantenne residente ad Albisola Superiore, che pare provvedesse a ristoccarla per poi rivenderla. Nei suoi confronti era quindi scattata una denuncia per ricettazione da parte dei carabinieri del Nor di Savona, a seguito della quale l’uomo era stato processato ed aveva infine patteggiato in tribunale una pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 400 euro di multa.

Il rischio di finire nelle maglie della giustizia e di essere condannati è tuttavia legato più che al quantitativo della merce sottratta alle finalità per cui il furto viene compiuto, come dimostra una recentissima sentenza della Cassazione.

Con la sentenza n. 5970/2020 la Suprema Corte ha difatti rigettato il ricorso proposto dall’imputato che aveva chiesto l’annullamento della pronuncia della Corte d'Appello di Genova che, rispetto alla sentenza di primo grado, aveva solo ridotto la pena disposta nei suoi confronti, escludendo la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Questi i fatti: nel 2016 il Tribunale di Massa aveva riconosciuto la colpevolezza dell’imputato – accusato di furto in concorso con un’altra persona - per essersi impossessato, al fine di trarne profitto, di 29 buste di pinoli da 100 grammi ciascuna, per un valore complessivo di 181 Euro, sottraendoli dagli scaffali di un supermercato Conad a Villafranca in Lunigiana.

L’aveva conseguentemente condannato alla pena di sei mesi di reclusione e a 154 Euro di multa.

Nel secondo grado di giudizio, la Corte di Appello di Genova, riformando parzialmente la pronuncia di primo grado, previa concessione delle attenuanti generiche, aveva solo ridotto la pena a quattro mesi di reclusione e 103,00 euro di multa.

L’imputato aveva dunque proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza d’appello, sostenendo che, nel caso di specie, sarebbe stata applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c. p. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto).

La Cassazione, muovendo dalla premessa che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 13681/2016) «ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo» ha osservato che la Corte d’Appello, facendo corretta applicazione del predetto principio di diritto, ha ritenuto non applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., evidenziando che il valore complessivo della merce sottratta (181 Euro) ed il suo quantitativo (circa tre chili) escludono che essa potesse considerarsi diretta al consumo personale.

Inoltre, poiché il furto è stato commesso con l’aiuto e la complicità di un'altra persona, siffatta circostanza – sempre secondo la Suprema Corte - fa presumere una certa organizzazione, seppur semplice.

La Cassazione ha perciò rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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