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Regine senza regno

Autore: Ester Annetta
Elisabetta II avrà senz’altro avuto dei contestatori, ma è stata perlopiù una regina molto amata. Le lunghe code e le interminabili ore d’attesa cui il suo popolo ha deliberatamente deciso di sottoporsi pur di renderle l’ultimo omaggio ne sono la testimonianza.

Se n’è andata a 96 anni, dopo 70 di regno. Traguardi ragguardevoli – d’età e di ruolo – non certo comuni.

Per giorni e giorni i notiziari sono stati occupati dalla cronaca delle fasi del protocollo funebre, dal lutto, dalle lacrime versate (su cui si è persino scommesso se fossero vere o di circostanza), fino al sontuoso funerale, affollato da capi di stato e nobiltà residua, col sottofondo cadenzato di ranghi di cadetti ed ufficiali che hanno marciato per l’intera giornata.

Nulla da eccepire, per carità: Dio salvi la regina e la sua memoria, come ho già avuto occasione di scrivere.

Mi è venuto però da domandarmi se senza il sostegno di un’intera corte di maggiordomi, inservienti e addetti vari che le hanno fornito assidue ed ininterrotte cure, tanta longevità e tanta buona vita sarebbero spettate comunque alla rifulgente sovrana.

Da lì, il pensiero è corso a tantissime altre attempate regine, senza regno, senza sudditi e senza corona, davanti alle quali non ci si inchina, ma che sono tuttavia degne d’onore per via della loro tenacia, della loro forza e della loro volontà, da sole bastevoli a campare, pur in assenza di (o con poche) cure e premure.

Ce n’è qualcuna ovunque guardiamo; la incontriamo al mercato, mentre si aggira alla ricerca del prezzo e della qualità migliore trascinando il carrellino della sua giudiziosa spesa; oppure in fila davanti all’ufficio postale, in attesa del proprio turno nel giorno del ritiro della pensione, giacché – come chiunque sia stato educato a dare valore solo alla concretezza - i soldi sono veri solo se si contano in mano, non se compaiono come numeri su un conto corrente.

Sono quelle regine che hanno scelto di restare sovrane della propria vita, a dispetto del dolore di una perdita, della solitudine, dei malanni dell’età; quelle che resistono ostinatamente al continuo sottrarre dell’esistenza che le vorrebbe ridotte a piccoli resti dispari. Mai lamentose, mai perse.

Ne conosco una anch’io.

Si chiama Mafalda e vive nell’appartamento di fianco al mio, sullo stesso pianerottolo.

Non so di preciso quanti anni abbia, ma non molti di meno della sovrana britannica.

È vedova già da diverso tempo e vive da sola. Una retinopatia molto aggressiva l’ha resa pressoché cieca da qualche anno: vede pochissimo, qualche colore e sagome confuse. Ma non per questo si è lasciata andare, ha anzi maturato una consapevolezza ed un’accettazione tale della sua malattia che ha imparato a conviverci quasi sfidandola. Continua dunque a fare ciò che a sempre fatto: esce a far la spesa, tosta le mandorle (forse troppo, a volte), prepara la torta di mele e il pesto fatto in casa, cuce a macchina.

Qualche volta bussa alla mia porta chiedendomi di cercarle un numero sulla rubrica del telefono di casa, perché se, toccando i tasti, salta qualche posizione nella sequenza che ha memorizzato, non trova più corrispondenza col numero che intende chiamare.

Altre volte mi bussa di sera, quando non riesce a digitare sul telecomando i tasti per “vedere” “I soliti ignoti” su RaiUno: si scusa mille volte per avermi interrotto la cena, ma quello è un appuntamento cui proprio non può rinunciare.

Una domenica mi ha chiesto di riempirle le caselline del portapillole con le pasticche che deve prendere ogni giorno della settimana, operazione di solito compiuta da suo figlio, quando va a trovarla nel fine settimana, che però quella volta se ne era dimenticato.

Pensateci: forse ce l’avete persino in casa la vostra regina, ancora piena di vitalità e di forza tanto da farvi invidia, giacché voi figli non ne avete altrettanta; oppure tranquilla e riservata, spesso rinchiusa in un silenzio austero, fatto non per tenere a bada gli altri ma la loro assenza. Ed i ricordi.

Sono regine che non tendono la mano per ricevere una riverenza o un baciamano, ma per fare una carezza o invitare ad un abbraccio.
Sono regine venute al mondo senza onori e fanfare e che allo stesso modo se ne andranno, senza lasciare ricchezze e denari, ma altri valori che le ricchezze e i denari non possono comprare.

Sono regine di cui non resterà traccia nella Storia (maiuscola) ma soltanto nelle storie (minuscole) di coloro che le manterranno come modelli e punti di riferimento.

Non avranno la memoria che spetta ai grandi ed ai potenti, ma si accontenteranno di restare in quella di chi non hanno mai smesso d’amare.
Abbiate dunque a cuore le vostre Regine.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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