30 gennaio 2021

Sfogatoi e affini

Autore: Ester Annetta

La sola “camera del pianto” di cui finora avessi sentito parlare è quella che si trova nella Cappella Sistina: è una delle più segrete del conclave, quella dove il neoeletto papa, appena dopo la fumata bianca, viene condotto per vestire i paramenti bianchi e rossi.

Si chiama così perché è lì che i successori di Pietro che vi sono passati nel corso della storia si abbandonano alle lacrime dovute all’emozione, alla tensione e forse anche alla preoccupazione per il peso del ruolo appena assunto, mentre compiono l’antico rituale di vestizione che precede la loro prima apparizione al popolo cristiano.

L’idea quasi “magica” ed anche un po’ romantica che mi ha sempre suggerito l’immagine di quella stanzetta - che rappresenta quasi una sorta di “spazio della presa di coscienza”, il luogo in cui si compie la parte formale di una trasformazione ben più importante – è stata attentata dalla scoperta, risalente a poco tempo fa, dell’esistenza di altre “camere del pianto”, di sicuro meno suggestive e meno pretenziose, nonostante l’abuso dell’espressione.

Pare, infatti, che un grande hotel di Tokyo abbia ideato e messo a punto, a beneficio – si badi bene – di sole clienti donne, delle stanze in cui è possibile dare sfogo allo stress, alla tristezza, alla frustrazione e ad ogni altro sentimento negativo che, nel pianto, appunto, possano diluirsi.

Sono dotate di fazzoletti di stoffa (più delicati per asciugare le lacrime e prevenire gli occhi gonfi!), latte detergente per rimuovere il trucco, maschere lenitive e sono anche corredate da grandi cuscini in cui affondare per soffocare urla e singhiozzi, una serie di film strappalacrime e fumetti (manga, anzi!) tematici, oltre che da tutto l’occorrente per risistemare il viso l’indomani mattina ed affrontare il giorno nuovo, ormai libere da cattivi pensieri. Il tutto per un costo di circa 80 euro.

Ma non è tutto. Sempre in Giappone sono state ideate le c.d. “stanze della rabbia” che, a quanto pare (ed anche questo l’ho appreso di recente), da due o tre anni si stanno diffondendo pure in Italia.

Si tratta di camere – stavolta però destinate ad un’utenza eterogenea – dove, bardati di adeguate protezioni (casco compreso), da soli o anche in coppia, si può dare libero sfogo a tutta la rabbia repressa, distruggendo ogni cosa. O meglio: c’è un numero preciso di oggetti (20,30 o più) che si possono distruggere, un tempo (da 5 a 20 minuti) concesso per dare sfogo a tutta la propria furia devastatrice, una strumentazione più o meno “pesante” da utilizzare allo scopo e persino una colonna sonora a scelta da sparare a tutto volume: dipende, ovviamente, dall’importo che si è disposti a spendere, variabile dai 25 agli 80 euro.

Insomma, degli autentici “sfogatoi” (‘rage room’ è il termine tecnico, in omaggio alla consueta, dominante, anglofilia) che ardirebbero quasi a porsi come alternativa a più lunghe e meno soddisfacenti - almeno in termini di benessere immediato - sedute di psicoterapia.

Sia i nomi di queste bizzarre palestre (“M’arrabbio” a Roma, “Quei 5 minuti” a Perugia, “Altrimenti ci arrabbiamo” a Bologna) che quelli dei “pacchetti” acquistabili (“Keep calm”, “Odio tutti”, ecc.) sono massimamente evocativi e non lasciano di certo dubbi sulla natura dei trattamenti offerti.

Mi sia consentito esprimere qualche perplessità sulla reale efficacia di tali moderne trovate; delle seconde, in particolare – le “stanze della rabbia” – è forse lecito dubitare che, più che risultare un’efficace valvola di sfogo si possano tradurre in un deleterio strumento istigatore della violenza, amplificando la reazione negativa alla rabbia anziché disincentivarla.

Ma forse è ormai superata la strategia secondo cui la rabbia debba essere mitigata invece che esaltata!
Tuttavia sembra un po’ irriverente ed estremamente provocatoria (ma forse erano queste le intenzioni, chissà!) la recente proposta di un artista torinese dal nome emblematico – Colline di Tristezza (che pure, confesso, non conoscevo) - di dotare ospedali, RSA e scuole di “stanze della rabbia” e/o “camere del pianto”, affinché medici, infermieri, operatori sanitari, insegnanti e personale scolastico a rischio di burnout (altro termine anglofono di gran moda) possano servirsene per alleggerire lo stress e la tensione cui sono sottoposti.

L’artista avrebbe rivolto la sua proposta niente meno che al Presidente della Repubblica ed ai ministri della Salute e dell’Istruzione, con la motivazione che “bisogna innanzitutto pensare alla salute mentale del personale sanitario e scolastico duramente provato dall’emergenza” e che queste stanze potrebbero essere utili “anche per le vittime di bullismo, in un’ottica futura quando si tornerà ad una normalità con lezioni in presenza al 100%”.

Raccapricciante, soprattutto l’ultima argomentazione.

C’è da sperare, evidentemente, che l’idea non venga presa sul serio: l’esperimento delle sedie con le rotelle dovrebbe essere stato bastevole a dimostrare l’importanza di saper discernere l’utilità dall’idiozia.

 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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