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Sogni e gelo

Autore: Ester Annetta
È un’alba gelida a Parigi, come può esserlo una qualunque alba d’inverno a nord della Francia, quando le correnti fredde orientali che la percorrono fanno scendere le temperature vicino allo zero.

All’aeroporto Charles de Gaulle il personale tecnico sta facendo una ricognizione di routine sul Boeing 777dell’Airfrance che ha appena effettuato il volo AF703, partito martedì 7 gennaio sera da Abidijan, in Costa d'Avorio, e atterrato a Parigi alle sei di quella mattina.
Qualcosa attrae l’attenzione degli operatori: un ingombro è incastrato nell’alloggiamento del carrello delle ruote.
Dev’essere sconcertante per chi ha fatto la scoperta accorgersi poco dopo che quella piccola massa rigida e rinsecchita fino a qualche ora prima respirava, si muoveva. Sognava.
È un ragazzino dall’apparente età di dieci anni, “ivoriano” - si dirà -, una connotazione nazionalistica che suona un po’ come un eufemismo, per sottintendere una tipologia razziale che, se esplicitata con una tinta di colore, potrebbe non gradirsi.

Un’ipocrisia di certo minore rispetto alla ben più grave omissione della compagnia di bandiera francese, che non si premura affatto di dare la giusta rilevanza alla notizia, anzi, la tace perfino, finché qualcuno non le rivolge una domanda diretta, attraverso il suo canale Twitter.
Quel qualcuno domanda se sia vero che un passeggero clandestino sia deceduto su quel volo, e solo allora la compagnia risponde: “Air France confirme que le corps sans vie d’un passager clandestin a été découvert dans le puits du train d’atterrissage de l’appareil effectuant le vol AF703 reliant Abidjan (ABJ) à Paris-Charles de Gaulle le 7 janvier 2020. La compagnie exprime sa compassion et déplore ce drame humain. Une enquête est en cours.”

Tutto qui. Secco e gelido, come quell’alba d’inverno.
“Un passeggero clandestino”, non un bambino.
“La compagnia esprime la sua compassione e deplora questo dramma umano”, senza proclamare alcun lutto, senza dare il risalto che davvero meriterebbe lo strazio di quella giovane vita recisa nel mentre che inseguiva il suo sogno di libertà, senza lasciar affatto trapelare un brandello di umanità per quel dramma che pure ha definito umano.
Altrove si stanno combattendo guerre, e la morte di uno dei principali protagonisti della lotta anti Isis in Medio Oriente fa senz’altro più rumore a confronto dei passi leggeri e cauti con cui un ragazzino ha percorso lo spazio che separava il suo nascondiglio dal vano del carrello di un aereo.

Eppure anche quel giovane stava fuggendo dallo spettro di una guerra, eredità di un’altra che era già stata combattuta nel suo paese per più di dieci anni e che ora sembra nuovamente prossima con l'avvicinarsi delle nuove elezioni presidenziali, annunciate tutt’altro che pacifiche. Stava scappando da un sicuro destino di stenti e privazioni, mosso dalla promessa di un altrove migliore di cui qualcuno doveva avergli raccontato, o, semplicemente, da quella voglia di possibile che, alla sua età, è un propellente inesauribile.

Quell’idea non l’ha di certo improvvisata; il suo piano doveva averlo ripassato più volte prima di risolversi. Aveva calcolato, però, solo le variabili a lui note – lo spazio e il tempo – non anche le leggi della fisica, la pressione atmosferica, la temperatura, che sicuramente erano condizioni che non poteva conoscere. Forse, anzi, immaginava che lassù, più vicino al sole, freddo non ne avrebbe di certo avuto.

Quel ragazzino - di cui forse non si sarebbe mai saputo neanche il nome se la coscienza collettiva non si fosse scossa, e che di anni ne aveva 14 e non 10 (una fame atavica, più che la disidratazione causata dell’assideramento, doveva averlo rimpicciolito) - sognava di potercela fare, di poter volare lontano, in poche ore appena, da una vita che, sebbene non avesse ancora vissuto abbastanza, doveva evidentemente già essergli gravosa, carica di bisogni, di povertà, di infelicità.

Ma questi moventi poco importano; la priorità pare quella di dover capire come sia stato possibile che un ragazzino abbia eluso la sicurezza di un aeroporto, sia corso fulmineo verso l’aereo poco prima del decollo, si sia nascosto nel suo ventre metallico senza che nessuno se ne accorgesse.

“Un’inchiesta è in corso”: sul fatto in sé, sulla falla nella sicurezza, sull’imprevisto.
Non certo e mai su responsabilità ben maggiori; meno ancora sulle ragioni di tante fughe: guerre, sfruttamento, fame, miseria, che procurano morte a migliaia di esseri umani sotto il tiro delle bombe, in cave e miniere, in fondo al mare e persino in cielo. Orrori che spesso, anziché condannati, diventano persino strumenti di lucro o argomenti di propaganda.
Finisce così che l’ennesima morte dell’ennesima vittima di un sogno di libertà scivoli sulle coscienze, divenute sempre più impermeabili a drammi che, ormai, nemmeno fanno più notizia.

“L'ipotermia o assideramento – si legge sui manuali medici - è una condizione che coinvolge l'intero corpo umano e si verifica quando la temperatura corporea è inferiore ai 35°C, in genere a seguito di una prolungata esposizione al freddo.
L'ipotermia è graduale; si ritiene grave quando la temperatura corporea scende al di sotto del 30°C. Inizialmente si manifesta con cute fredda, pallore, brividi, tachicardia, respiro rapido; possono poi aversi sudore, cute dal colore tendente al grigio, formicolii e dolori articolari, rigidità muscolare, bradicardia, confusione, sonnolenza.
Se la temperatura scende al di sotto dei 30°C si cade in uno stato di incoscienza e si ha un rallentamento delle funzioni vitali, fino all'arresto cardiaco e, dunque, alla morte”.

Tutto questo Ani Guibahi Laurent Barthélémy - quel ragazzo che ora ha un nome - l’ha provato.
Che almeno il suo passaggio dal sonno alla morte sia stato lieve, mentre, rannicchiato nel ventre di un aeroplano, il gelo uccideva i suoi sogni.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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