La chiamano Purple Drank (lo “sballo viola”) la trasgressiva moda che, arrivata dall’America, dilaga già da molti anni anche in Italia. Si tratta dell’utilizzo di una sostanza ricavata da sciroppo per la tosse a base di codeina che, mischiato ad altre sostanze (inizialmente la gassosa, ma poi sono subentrate diverse altre varianti) produce uno stato di euforia o di estremo rilassamento.
A ricorrervi sono soprattutto i giovani, adolescenti tra i 14 e i 16 anni d’età allettati dalla facilità con cui questa forma di sballo “fai da te” è procurabile, nonché dalla voglia di allinearsi ai dettami dei miti della musica trap. "Lean" o "Perk" sono le espressioni con cui queste miscele vengono chiamate dai trapper nei loro testi, sublimatori di quel nuovo e rivoluzionario effetto drogante chiamato “New Joint”.
Bisogna apprenderlo questo nuovo linguaggio, conoscerlo e decodificarlo; e, soprattutto, bisogna saperci fare i conti, a fronte delle insidie che nasconde e che – da genitori non certo poco vigili ma senz’altro incapaci di stare al passo con il frenetico evolversi delle mode e dei miti seguiti dai nostri figli – fatichiamo a riconoscere.
Flavio e Gianluca, i due quindicenni di Terni, hanno lanciato proprio questo allarme poche settimane fa. Il fascino della trasgressione unito all’incoscienza dei loro pochi anni hanno giocato una partita facile da cui sono usciti sconfitti: convinti di poter raggiungere chissà quale “Terra promessa”, stato di grazia o estasi, si sono abbandonati ad un sonno in cui si è insinuata piano, leggermente, la morte.
Ed è lo stesso allarme che arriva dall’operazione che la Polizia di Stato del commissariato Prati, a Roma, ha condotto pochi giorni fa, disponendo il collocamento in comunità di diversi minorenni: ragazzi per bene, figli di famiglie benestanti, che avevano organizzato un vero e proprio sodalizio criminale attraverso cui acquistavano farmaci tramite false ricette (alcuni, figli di medici, falsificavano addirittura i ricettari dei loro genitori) per confezionare e vendere mix di sostanze ai loro coetanei e persino per spedirli all’estero.
La sensazione che, da genitori, ci sembra spesso di provare è quella di sentirci spettatori davanti alla parete di vetro di un acquario in cui i nostri figli galleggiano, muti e silenziosi, sempre più avari di parole e di dialoghi nei nostri confronti, cambiando repentinamente direzione e traiettoria senza lasciarci il tempo di capire dove vadano, cosa inseguano.
Ci rendono impotenti, caricandoci al tempo stesso di una zavorra di responsabilità e di colpe che, il più delle volte, nemmeno capiamo da dove traggono origine.
Perché la verità è proprio questa: abbiamo procreato generazioni di rabbiosi, insoddisfatti, vigliacchi. Il motore che governa le azioni dei nostri figli è, sostanzialmente, una profonda e disperata solitudine, indotta dal loro sentimento di inadeguatezza che, aggiunto alla noia di una realtà in cui hanno tutto a portata di mano (o di click) e da cui non si lasciano più sorprendere, finisce per diventare una miscela altrettanto letale quanto quella in cui vanno a cercare rifugio.
Basta leggere i testi delle canzoni che ascoltano per rendersene conto: sono la fotografia del disagio contemporaneo, usano parole vuote che servono a sottolineare il vuoto, l’estrema brevità e superficialità del mondo, l’assenza di stimoli e di obiettivi, il disinteresse per i valori e l’impegno.
E allora quello che serve ai nostri giovani finisce per essere il bisogno di sedare questo sentimento di insoddisfazione, di difendersi dalle emozioni, di anestetizzarle. La loro esigenza non è forse tanto – o non è più - quella di procurarsi piacere, ma è piuttosto quella più “raffinata” (e per questo più preoccupante) di manipolare i propri stati d’animo, di programmare i loro stati emotivi, perché le emozioni non si possono controllare e fanno paura.
E il mantra che seguono, che li seduce, è quello contenuto nei ritornelli dei loro trapper, che li invitano a bere, a provare questo “nuovo sballo”, istigandoli ad una vita violenta e priva di freni morali, caricandoli di un coraggio che è sinonimo di trasgressione.
Allora, prima ancora che la possibilità che i nostri figli cadano in questa rete, a farci paura dev’essere il senso di vuoto di cui sono vittime e che li rende vulnerabili, demotivati, irrisolti, cancellando prospettive e orizzonti, fiaccando la loro anima, rendendoli incapaci di proiettarsi in un futuro in cui concretizzare una qualche promessa.
Vivere il presente pericolosamente, totalmente, assolutamente diventa l’imperativo di chi è senza speranza e senza prospettive, e che anela perciò a rendere gioioso e ricco l’oggi laddove i contorni di domani sembrano aridi e vacanti.
È una consapevolezza aberrante, un male feroce che, a partire dalla famiglia per arrivare alla scuola, alla società ed alle istituzioni, ci rende tutti parimenti colpevoli e inevitabilmente responsabili.