13 febbraio 2024

UK, una brutta sorpresa per chi fa due lavori

Un numero sempre maggiore di inglesi è costretto al doppio lavoro per integrare il reddito. Ma le regole fiscali sono diverse da quelle di un lavoro dipendente, e molti sono presi alla sprovvista

Autore: Germano Longo
Ogni mattina a Londra, come sorge il sole, un lavoratore sa che dovrà fare almeno due lavori diversi, se vuole sopravvivere. Rileggere la celebre massima motivazionale creata nel 1998 per il lancio di una bevanda energetica (che in realtà parlava del leone e la gazzella), è sufficiente per spiegare una realtà assai comune al di là della Manica. Gli stipendi medi, specie per i più giovani, non bastano per riuscire a mantenersi gli studi, pagarsi una stanza dove dormire e, giusto ogni tanto, mettere qualcosa nello stomaco.

Vuoi gli effetti a lungo rilascio della sciagurata Brexit – così almeno la pensano percentuali in aumento degli anglosassoni secondo diversi sondaggi – vuoi l’inflazione, la crisi, la pandemia, le guerre e altre delizie più o meno recenti, hanno ridotto ai minimi termini il potere di acquisto. Risultato: il doppio lavoro, perché uno non basta. Il primo di giorno, come tutti, il secondo quasi sempre alla sera, molto spesso inforcando una bici per consegnare pizze e hamburger.

Ma questo, se da una parte salva dalla bancarotta, dall’altra complica l’esistenza, perché l’inflessibile fisco britannico pretende di separare e distinguere i guadagni delle due occupazioni, con tanto di registri da aggiornare, conservare e presentare.

Secondo un’indagine realizzata nel 2022 dalla “Aviva”, una compagnia assicurativa, dall’inizio della pandemia un britannico su cinque ha intrapreso un’attività secondaria, e di questi un terzo per tentare di sbarcare il lunario in un periodo assai complicato. Sempre secondo i dati, il reddito medio delle attività secondarie si aggira molto spesso intorno alle 500 sterline al mese, 586 euro circa. Poco, ma aggiunto al resto basta per scavallare il mese, sempre tenendo a bada pretese, capricci e fantasie.

Ma il problema è che il reddito extra comporta un’ulteriore spesa fiscale, e poiché al pari dell’Italia, il fisco inglese non preleva le tasse in anticipo sul lavoro autonomo, come accade per i dipendenti, ma molti dei nuovi lavoratori autonomi non sono affatto preparati di fronte all’obbligo di pagare le tasse. E per alcuni, l’arrivo dei documenti dall’equivalente della nostra Agenzia delle Entrate si rivela spesso come sgradita sorpresa.

Storicamente, nel Regno Unito, i percorsi di carriera sono relativamente semplici: conclusa la scuola si entra in un’azienda e ogni settimana o mese si riceve la busta paga, dalla quale sono detratte le imposte alla fonte. Un sistema familiare a molti lavoratori in tutto il mondo. Ma una confluenza di sconvolgimenti economici - tra cui l'ascesa dell'influencer economy, dei siti di rivendita, delle app di consegna e di ride-sharing e del nomadismo digitale - fa sì che sempre più spesso le persone lavorino sia per le aziende che per sé stesse, integrando uno stipendio a tempo pieno con un'attività secondaria.

E per i lavoratori indipendenti, i lavori secondari sono tassati in modo diverso rispetto alle buste paga tradizionali. Non viene prelevata alcuna imposta al momento del pagamento e sono loro stessi a dover trattenere una parte del reddito per versarlo in un momento successivo. Ma molti non dichiarano il proprio reddito ed evitano di pagare le tasse l’uso del contante, ma accade spesso anche in modo inconsapevole, poiché nessuno li ha avvisati dell’esistenza di una norma che può portare a brutte sorprese.

All'inizio di gennaio, la britannica His Majesty's Revenue and Customs (HMRC) ha annunciato che le piattaforme digitali, tra cui Airbnb, Vinted, Depop ed eBay, saranno tenute a dichiarare regolarmente i profitti dei venditori realizzati sui propri siti. All'inizio di gennaio, un portavoce dell'HMRC ha dichiarato: “Queste nuove regole sosterranno il nostro lavoro per aiutare i venditori online a pagare le tasse al primo colpo, ma ci aiuteranno anche a individuare eventuali inadempienze intenzionali, garantendo condizioni di parità per tutti i contribuenti”.

Il cambiamento non sorprende, afferma Stevie Heafford, partner fiscale dello studio londinese HW Fisher. “Con la crisi, sempre più adulti nel Regno Unito si dedicano a lavori secondari per ottenere un reddito extra e l'HMRC teme che alcuni non paghino il giusto in base ai profitti”. Eppure, sebbene possa apparire come un cambiamento radicale, non si tratta di una nuova regola fiscale quanto piuttosto dell’applicazione di una linea guida già esistente, afferma Heafford: “La realtà è che i profitti del trading, sia primario che secondario, sono sempre stati tassabili. Ma le persone che lo fanno per la prima volta potrebbero non saperlo, soprattutto se sono abituate a lasciare che siano i datori di lavoro a pagare le tasse”.

“I lavoretti secondari e i modi alternativi di guadagnarsi da vivere sono in aumento, in particolare tra i millennials, e la maggior parte dichiara di voler tenere il passo con l'aumento dei tassi d'inflazione”, afferma Kathy Pickering, responsabile fiscale di H&R Block, una società di preparazione fiscale con sede a Kansas City, negli Stati Uniti.

Alcuni esperti fiscali ritengono sia arrivato il momento per aggiornare le norme ai cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, pena vanificare gli sforzi di migliaia di persone: “Quello che all'inizio può essere un modo semplice per ottenere un reddito extra può trasformarsi in un esercizio confuso, complesso, impegnativo e dispendioso”.

Adattare le regole fiscali perché corrispondano al modo in cui le persone si guadagnano da vivere, aiuterebbe anche le autorità nel lungo periodo: se fossero più semplici, un maggior numero di persone potrebbe dichiarare i propri profitti in modo accurato e puntuale.
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