Mentre l’Agenzia delle Entrate, a livello nazionale, ha fatto suo il principio della compliance volto ad instaurare un rapporto di dialogo, in un clima non certo vessatorio, ma di collaborazione e fiducia nei confronti del contribuente, a Reggio Calabria sembra, invece, che avvenga il contrario.
Ma, andiamo con ordine.
A seguito di un accertamento d’ufficio, peraltro sollecitato dallo stesso contribuente che chiedeva l’annullamento di una precedente cartella relativa all’anno d’imposta 2012, eccependo che il ricarico del 45,18% sugli introiti dichiarati era da considerarsi sicuramente eccessivo. Fissata la data per il contraddittorio, la parte si presentava regolarmente negli uffici dell’Agenzia, dove veniva a conoscenza che l’accertatore era fuori per una verifica esterna, per cui il capo team, nel rammaricarsi per l’inconveniente, lo invitava ad inviare una pec per fissare un nuovo incontro. Alla data convenuta, solita problematica (assenza dell’accertatore) e nuova richiesta al contribuente, la seconda, di chiedere un altro appuntamento.
Ora se è vero come è vero che i termini possono essere prorogati una volta accertato che le cause ostative siano da attribuire all’ufficio, sembra, piuttosto, che il problema risieda nella volontà dell’Agenzia di non voler ascoltare, o peggio ancora magari voler fare scadere i termini, le ragioni della controparte che dal canto suo vorrebbe solo evidenziare, in un sereno contraddittorio, che l’accertamento, di cui oggi parliamo, è stato condotto tenendo conto della sola base di percentuale di ricarico, determinata nell’ambito del territorio di competenza, senza considerare, che per l’anno di riferimento, il 2012, erano in vigore gli studi di settore, in ordine ai quali il contribuente risultava essere “congruo”.
Al riguardo, non si può non riferirsi all’indirizzo giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte con l’Ordinanza n°13054 del 24 maggio 2017, in tema di accertamento delle imposte e di contabilità regolarmente tenuta (ed è questo il caso), laddove “ …. l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità"; ed ancora se “ …. siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, ad integrare una prova per presunzioni" (sentenza n. 16597 del 2015).
Inutile dire che anche l’istanza in autotutela è rimasta, per così dire lettera morta, per cui non rimane altra strada, al cittadino, che quella di affidarsi alla giustizia ordinaria, dove forse le motivazioni saranno prese in considerazione e, sicuramente valutate, magari favorevolmente. Tutto ciò avviene in riva allo Stretto, mentre il governo, per bocca dei suoi esponenti più autorevoli, proclama di voler procedere alla risoluzione delle liti pendenti attraverso gli istituti della pace fiscale e con le varie rottamazioni, volendo, in tal modo, dare una risposta sia agli imprenditori, in serie difficoltà economiche a causa della crisi, sia smaltire la mole di contenziosi fermi nelle varie commissioni e/o aule di giustizia.
A Reggio Calabria qualcuno non ha avuto il tempo di ascoltare e volendo ricordare Kahil Gibran, non ci rimane che citare una sua frase “Chi sà ascoltare la verità non è meno di colui che la sa esprimere”.