7 giugno 2018

Abiti gratis ai vip. Sono spese di rappresentanza

Autore: Paola Mauro
I costi sostenuti dall’azienda di moda per la cessione gratuita di capi di abbigliamento a personaggi qualificati come VIP, cioè, persone note al grande pubblico, senza alcun obbligo giuridico d’indossarli in manifestazioni pubbliche, integrano spese di rappresentanza e non di pubblicità, quindi sono solo parzialmente deducibili e non è ammessa in detrazione l’IVA.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 10636 del 4/05/2018 (in precedenza in senso analogo Cass. Sez. 5 n. 8126/2016).
Una Società operante nel settore della moda ha impugnato un avviso d’accertamento a fini IVA per il 2004, per indebita detrazione effettuata, da un lato, in relazione a costi relativi a donazioni di capi di abbigliamento contabilizzati quali spese di pubblicità e riqualificati dall’Ufficio come spese di rappresentanza e, dall’altro, ad altri costi ritenuti non inerenti all’attività d’impresa.
La CTP ha respinto il ricorso, e tale decisione è stata confermata dalla CTR.
In particolare, la Commissione di appello ha ricondotto alle spese di sponsorizzazione i costi sostenuti per la cessione gratuita di capi di abbigliamento, venendo in evidenza il nome della ditta o del prodotto, ma non la finalità - tipica del messaggio pubblicitario - di suggestionare o persuadere il consumatore.

A detta della Società contribuente, invece, i costi erano diretti a pubblicizzare i beni posti in vendita attraverso il loro abbinamento con noti personaggi dello spettacolo.

Ebbene, i Massimi giudici hanno condiviso il ragionamento seguito dal Giudice di merito.

Secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta. In definitiva, devono farsi rientrare nelle spese di rappresentanza, quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, mentre vanno considerate spese di pubblicità o propaganda, quelle sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita di quanto realizzato nei vari cicli produttivi e in certi contesti, anche temporali (Cass. 7803/2000). Il criterio discretivo, dunque, va individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d'immagine e il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale (Cass. n. 21977/2015, tra le altre).

Alla luce di questi principi la sentenza impugnata è apparsa corretta.

Afferma, infatti, la Corte che «la cessione gratuita a v.i.p. di capi d'abbigliamento griffati, pacificamente effettuata al di fuori di ogni patto contrattuale e di ogni consequenziale obbligo giuridico d'indossarli in manifestazioni pubbliche, resta sicuramente estraneo alla fattispecie legale della pubblicità o propaganda di cui all'art. 74 TUIR mancando l'obiettività di un collegamento immediato con la promozione di un prodotto o di una produzione e con l'aspettativa diretta di un maggior ricavo. Inoltre, non solo manca ogni dovere - se non quello morale - d'indossare gli indumenti griffati in situazioni di pubblica visibilità, ma, a ben vedere, può mancare persino l'immediata percezione e quindi il diretto riferimento del capo alla griffe per il grande pubblico, se il tutto non sia accompagnato da ben diverso e ficcante messaggio integrativo. Ciò vale in disparte la gratuità stessa della cessione che per taluna giurisprudenza di legittimità assume connotazione rilevante come spesa di mera rappresentanza (Cass. 10910/2015). Nel caso concreto, non è stato dimostrato il collegamento obiettivo ed immediato della spesa sostenuta per i capi d'abbigliamento con la promozione di un prodotto e con l'aspettativa di un maggior ricavo, in quanto la parte ricorrente si è limitata a rilevare che i capi d'abbigliamento donati ai personaggi dello spettacolo erano pubblicizzati in riviste del settore e visionati alle sfilate dai principali compratori. Ciò, però, non implica che i costi in questione siano funzionali alla pubblicità».

In conclusione, su questo punto il ricorso per cassazione è stato respinto, mentre la CTR della Lombardia, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi nuovamente in ordine alla detrazione di spese di locazione immobiliare sostenute per collaboratori della Società, in quanto gli Ermellini hanno rilevato il vizio di omessa pronuncia su tale motivo di appello.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy