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Le indagini bancarie sul socio non possono essere utilizzate per fondare l’accertamento a carico della società di capitali senza la prova, anche solo presuntiva, di un “collegamento”, ossia della riferibilità delle movimentazioni bancarie all’attività d’impresa.
È quanto ha ribadito la Corte di Cassazione (Sez. VI-5, ord. 2536/2018).
I Giudici di legittimità hanno annullato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Palermo che ha confermato l’avviso di accertamento emesso per l'anno d’imposta 2003 a carico di una S.r.l. e fondato su movimentazioni bancarie riscontrate nei conti correnti personali dei soci.
Il Collegio di appello ha ritenuto che le risultanze dell’accesso bancario effettuato sul conto corrente intestato ai soci dimostrassero l’attività evasiva del sodalizio, in mancanza di alcuna giustificazione sul punto da parte della ricorrente.
Per la Suprema Corte, però, la C.T.R. è incorsa in errore:
Gli Ermellini rilevano, infatti, che “la CTR non ha mostrato di adeguarsi pienamente, essendosi il giudice di appello limitato a ritenere la riconducibilità dei conti correnti - della società e dei soci -all'attività d'impresa senza tuttavia dare conto degli elementi che a tale conclusione l'avevano indotta quanto alla riferibilità dei rapporti bancari dei soci alla società, invece limitandosi ad affermare che la contribuente non aveva superato la presunzione di cui all'art.32 c.1 n.2 d.P.R. n.600/73. In questi termini la censura proposta è fondata, dovendo il giudice di merito, in sede di rinvio, verificare dall'accertamento notificato l'esistenza di elementi idonei a confermare la sostanziale riferibilità all'ente dei conti correnti dei soci.”
Da qui la Suprema Corte ha deciso il rinvio della causa a una diversa Sezione della C.T.R. Sicilia per nuovo esame.