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L’Agenzia delle Entrate, mettendo in rete, nel 2008, le dichiarazioni dei redditi di tutti i contribuenti, relative al 2005, ha violato la loro privacy. Era legittimo il provvedimento del Garante, il quale aveva censurato il modo in cui i dati erano stati diffusi, in spregio ai limiti territoriali e temporali prescritti dalla normativa e senza la preventiva informazione e il consenso dei diretti interessati.
Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 15075 dell’11/06/2018, ha risolto una controversia che, anni fa, destò molto scalpore. L’allora Direttore dell'Agenzia delle Entrate, con provvedimento del 5 marzo 2008, aveva infatti diffuso in rete i dati dei contribuenti del 2005. Il Garante per la privacy non era però d’accordo e censurò la pubblicazione, irrogando anche la relativa sanzione di Euro 6.000,00 all’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia si oppose però al provvedimento, contestando l'attinenza dei dati relativi ai redditi delle persone alla nozione di privacy, stanti le finalità di interesse pubblico cui la circolazione dei dati in possesso dell'Amministrazione finanziaria assolveva.
Il Tribunale rigettò il ricorso, ritenendo, in particolare, sussistere, nel citato provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, i seguenti tre profili di illegittimità:
L'Agenzia riteneva dunque di essere legittimata non solo a divulgare gli elenchi nominativi dei contribuenti nel modo più adatto a garantirne la massima diffusione possibile, ma anche di avere il dovere di disporne la pubblicazione on line, nel rispetto dei principi introdotti dal Codice dell'Amministrazione Digitale.
La decisione - Tali argomentazioni, secondo la Suprema Corte, erano infondate.
Affermano infatti i giudici di legittimità che una corretta lettura degli artt. 69 del d.P.R. n. 600/73 e 66-bis del d.P.R. n. 633/1972, evidenzia che la pubblicazione degli elenchi recanti i nominativi dei contribuenti, che avevano presentato le dichiarazioni relative all'imposta sui redditi ed all'IVA, doveva rispettare precisi criteri territoriali e temporali:
Era evidente, infatti, aggiunge la Corte, che, con una siffatta pubblicazione on line, quegli elenchi avevano avuto - per le caratteristiche proprie della rete - una diffusione certamente ben superiore rispetto ai limiti territoriali (ciascun comune interessato) e temporali (un anno) imposti dalla normativa, così violandosi non solo i principi e le regole che presiedono al trattamento dei dati personali, ma anche le specifiche norme, che, nel caso di specie, miravano a scongiurare una consultazione indiscriminata dei suddetti dati.
Né certo ostava ad una tale conclusione la circostanza, invocata dall'Agenzia delle Entrate, di essere tenuta al rispetto di quanto previsto dal cd. Codice dell'Amministrazione Digitale, atteso che quest'ultimo, nell'incentivare l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'utilizzo, nella raccolta, nella conservazione e nella consultazione dei dati delle pubbliche amministrazioni, fa espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti, nonché le norme in tema di protezione dei dati personali.
La pubblicazione on line degli elenchi dei contribuenti non era del resto configurabile come una modalità di trattamento dei dati previsto dalla legge, sicché la stessa doveva essere specificamente autorizzata dai titolari dei dati.
Né a superare tale ostacolo poteva servire il fatto che il Modello Unico 2006, (relativo al periodo di imposta 2005) per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche recava l'informativa ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 196/2003, la quale illustrava le finalità e modalità del trattamento dei dati personali forniti e conteneva anche un espresso richiamo alle loro modalità di trattamento prevalentemente informatiche ed alla loro pubblicazione ai sensi dell'art. 69 del d.P.R. n. 600/73, così da essere idonea, secondo l’Agenzia, a consentirne anche la diffusione on line.
Al contrario, evidenzia la Corte, quell'informativa, proprio perché includeva il riferimento alle modalità di pubblicazione ex art. 69 del d.P.R. n. 600/73, non poteva evidentemente intendersi comprensiva anche della modalità di pubblicazione on line degli elenchi dei contribuenti, non rientrando quest'ultima tra quelle previste dalla citata disposizione.
Infine, quanto alla comminazione della sanzione, andava confermata la reiezione della domanda di annullamento del provvedimento dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, che aveva inflitto all’Agenzia la sanzione amministrativa di Euro 6.000,00.
Evidenzia infatti la Suprema Corte che, quanto al riparto degli oneri probatori, con particolare riguardo all'elemento soggettivo, in tema di sanzioni amministrative, l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in presenza del compimento della condotta proibita, pone una presunzione di colpa a carico dell'autore del fatto vietato, riservando a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa, e non potendo certo reputarsi escluso l'elemento della colpa in forza della sola affermazione dell'Agenzia di aver agito nella convinzione che l'informativa contenuta nel Modello Unico Persone Fisiche 2006 le consentisse di procedere con le descritte modalità di diffusione dei dati fiscali dei contribuenti, rivelatesi, invece, in contrasto con quanto sancito dagli artt. 69 del d.P.R. n. 600/1973 e 66-bis del d.P.R. n. 633/1972, dalle norme sulla privacy e dal principio di ragionevolezza e proporzionalità costituzionalmente garantito, avendo comportato una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali la disciplina all'epoca applicabile prevedeva una relativa trasparenza.