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Un titolo sheakespeariano che pare ben si addica alla smisurata polemica che sta occupando in questi giorni ampi spazi in tutte le testate giornalistiche e nei notiziari: il nuovo obolo che va ad incidere sull’economia domestica dei consumatori italiani a seguito del recepimento di una direttiva europea che – rispondendo ad un preciso intento di tutela dell’ambiente - impone l’uso di sacchetti biodegradabili per l’acquisto dei prodotti alimentari.
Con l’inizio del nuovo anno è difatti entrata in vigore una previsione contenuta tra le modifiche apportate dalla L. 3 agosto 2017, n. 123 in sede di conversione del D.L. 20 giugno 2017, n. 91 (recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”), secondo cui, “al fine di conseguire, in attuazione della direttiva (UE) 2015/720, una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica, è avviata la progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero”. Pertanto, “dal 1º gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40 per cento”; di conseguenza, “ le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità' deve risultare dallo scontrino o fattura d'acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite".
E per chi non rispetta la nuova legge, si prevedono sanzioni che vanno dai 2.500 ai 25 mila euro.
Ora, benché la detta previsione fosse stata introdotta con una legge dello scorso agosto e, dunque, il dubbio potesse essere che fosse passata in sordina, un’indagine condotta da Ipsos Public Affairs e presentata all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo lo scorso ottobre, aveva ricondotto l’attenzione degli italiani sull’imminente novità, riscontrando che 6 italiani su 10 si dichiaravano ben contenti di fare a meno della plastica per comprare gli alimenti sfusi al supermercato.
Del campione di mille intervistati, rappresentativo della popolazione di età tra i 18 ai 65 anni, il 58% si era dichiarato pronto ad accogliere favorevolmente l'introduzione dei sacchetti biodegradabili; il 71% degli intervistati si era detto cosciente dell'importanza del riutilizzo dei materiali e pronto anche a pagare qualcosa di più pur di salvaguardare l’ambiente. Solo il 29% non si era detto d’accordo al pagamento del sacchetto in materiale biodegradabile per l’acquisto di prodotti d’ortofrutta, surgelati, pane ed altri alimenti a peso. La conclusione era quindi stata che, tutto sommato, la prescrizione della direttiva europea fosse stata accolta con favore da più della metà degli italiani.
Ma al sorgere di questo fatidico 1°gennaio 2018 ed ogni retropensiero, ogni voce dissonante, ogni opposizione si sono uniti in un gran fracasso: in realtà la normativa comunitaria recepita non avrebbe contenuto alcuna esplicita imposizione relativa ai sacchetti ultraleggeri utilizzati per gli alimenti. Essa avrebbe contemplato espressamente il divieto solo per le borse in plastica non riciclabile utilizzate per insacchettare la spesa (in Italia già fuori legge dal 2012), prevedendo esplicitamente la possibilità che gli Stati membri escludessero dalla previsione quelle con uno spessore inferiore a 15 micron fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi.
Il Governo Italiano (l’unico, insieme a quello francese, tra i paesi europei) avrebbe, dunque, applicato la disciplina nella sua formula più estesa, includendo nel divieto anche i sacchetti ultraleggeri. Il tutto – sempre secondo le ondivaghe conclusioni che, com’è prassi, accompagnano ogni provvedimento d’impatto sui consumatori – per favorire aziende (una sola, in verità) leader nella produzione di polimeri a base vegetale e sacchettini in bioplastica.
Verità o insinuazioni che siano quelle che si celano dietro tanto rumore, è certo che – come si suol dire – “Vox populi, vox Dei”: è vero ciò che il popolo è concorde nell’affermare.
E così, per arginare il diluvio di polemiche e contestazioni, ad appena quattro giorni dall’attuazione della nuova misura, sono scesi in campo il Ministero dell’Ambiente e quello della Salute per mitigare i toni, con una “concessione” che pare invece destinata a sollevare questioni su altri fronti.
Il Ministero della Salute ha difatti ufficialmente dichiarato che non è consentito il riutilizzo dei sacchetti bio quando si acquista frutta e verdura al supermercato, ma non c’è impedimento all’impiego di buste monouso nuove che il cittadino può portare da casa. Ciò, quindi, esclude l’obbligo di acquistare i famigerati sacchetti ultraleggeri e, al tempo stesso, risolve anche il problema del divieto di riutilizzo dei sacchetti del supermercato imposto per evitare il rischio di contaminazioni. Basta, dunque, che il cittadino si porti le buste da casa “a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”.
Perfetto! Ma chi controlla che i sacchetti provenienti da casa siano davvero idonei? Il salumiere smette forse di affettare prosciutto per controllare l’integrità della busta offertagli dal cliente? E secondo quali criteri?
Dal canto suo, il Ministero dell’Ambiente ci tiene a sottolineare, a monte, la correttezza del provvedimento: si è scelto di mettere in chiaro il costo del sacchetto che, altrimenti, avrebbe potuto tranquillamente essere camuffato tra i costi di vendita dei prodotti e sfuggire così ad ogni controllo. Si è preferita la trasparenza.
2 centesimi! Questo è il famigerato costo dei temutissimi sacchetti. Una monetina che spesso non si accetta neanche come resto perché ingombra il portamonete e non serve a nulla; che nemmeno si raccoglie se cade in terra; che ci si vergogna persino di dare al lavavetri al semaforo.
Eppure è un prezzo sufficientemente alto per far partire una valanga di esposti: 104 che il Codacons ha presentato ad altrettante Procure con la richiesta di aprire indagini sul territorio alla luce del possibile reato di truffa, verificando il comportamento di ipermercati, supermercati ed esercenti nella vendita dei sacchetti biodegradabili, a seguito delle segnalazioni dei consumatori di tutta Italia che denunciano come il costo dei sacchetti ultraleggeri venga addebitato anche in assenza di loro acquisto (già, perché c’è chi si industria a pesare il singolo frutto sulla bilancia, senza utilizzare alcun involucro!), in quanto le bilance, al momento della pesatura, emettono uno scontrino che contiene già l’addebito dei 2 centesimi di euro per il sacchetto di plastica.
2 centesimi. Considerato che, secondo l'Osservatorio di Assobioplastiche, il consumo medio di ogni cittadino è di circa 150 sacchetti all'anno, l’oneroso gravame che ogni famiglia dovrebbe aggiungere in un anno alla spesa alimentare fatta in supermercati e ipermercati oscillerebbe tra i 4,17 ed i 12,51 euro.
Se il vantaggio che ne può conseguire è realmente un segnale concreto di rispetto per l’ambiente, quel temuto costo in più vale davvero tutto questo rumore?