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In relazione al reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. n. 74/00, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca può essere disposto sulla base dei soli accertamenti compiuti della GdF in sede amministrativa. Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie hanno un valore indiziario sufficiente a integrare il fumus commissi delicti e, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale. Infatti l’applicazione di una misura cautelare reale non richiede un compendio indiziario che si configuri come grave ex art. 273 cod. proc. pen.
È quanto emerge dalla sentenza n. 6242/2018 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il Tribunale del Riesame ha respinto l’istanza dell’indagato, volta a ottenere la revoca del sequestro preventivo di beni in relazione al reato di dichiarazione infedele per gli anni d’imposta 2014 e 2015. Il Giudice di merito ha ritenuto sufficiente la valenza indiziaria del contenuto del “CNR della Guardia di Finanza”.
Ebbene, a giudizio della Suprema Corte, il Tribunale ha correttamente valutato il fumus del delitto contestato, richiamando specificamente e ampiamente le risultanze processuali comprovanti tale requisito e confutando le censure difensive al riguardo.
Respingendo il ricorso del presunto evasore, gli Ermellini ricordando l’orientamento consolidato secondo cui, in tema di reati tributari, il giudice può fare legittimamente ricorso agli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza o dall'ufficio finanziario, anche ai fini della determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, pur dovendo il proprio esame estendersi a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito, in quanto l'autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione però che detti elementi siano assunti non con l'efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori e, siccome dette presunzioni hanno il valore di un indizio, esse, per assurgere a dignità di prova, devono trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti (Cass. pen. Sez. III n. 2246 del 1996).
Gli Ermellini, però, puntualizzano che l’applicazione di una misura cautelare reale ben può essere fondata sulle presunzioni tributarie, per via del loro valore indiziario.
È noto che in materia di misure cautelari reali “non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ex art. 273 cod. proc. pen. […], essendo sufficiente l'esistenza del fumus del reato secondo la prospettazione della pubblica accusa sulla base dell’indicazione di dati fattuali che si configurino coerenti con l'ipotesi criminosa.” (su tutte: Cass. Sez. Un. n. 7/2000).
“Ne consegue come, nel caso di specie” – scrivono i Massimi giudici -“la soglia del quadro indiziario richiesta per l’adozione della misura cautelare reale sia stata ampiamente conseguita perché, risolvendosi le presunzioni tributarie in dati di fatto aventi valore indiziario, esse ben possono essere poste a fondamento di un provvedimento cautelare reale.”
In conclusione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente dovrà pagare le spese processuali e la somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle Ammende.