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Il pagamento del Tfr, da parte del Fondo di Garanzia gestito dall’INPS, presuppone sempre l’accertamento del Tribunale fallimentare che il datore di lavoro non è assoggettabile in concreto a fallimento, sia per condizioni soggettive sia per ragioni oggettive. È quanto emerge dalla lettura della Sentenza n. 21734/2018 della Corte di Cassazione (Sez. VI-L).
La L. n. 297 del 1982, all'art. 2, ha previsto il pagamento del Tfr da parte dell'INPS quando l'impresa sia assoggettata a fallimento, ovvero quando il datore di lavoro, non soggetto alla legge fallimentare, venga sottoposto infruttuosamente a esecuzione forzata. Analoghe previsioni regolano l'intervento dell'INPS per il pagamento dei crediti di lavoro diversi dal Tfr, a tenore dell'articolo 1, commi 1 e 2, D.lgs. n. 80 del 1992.
Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha escluso l’azione verso il Fondo di Garanzia costituito presso l’INPS, con riferimento all'ipotesi di richiesta d’intervento per il pagamento del Tfr e per il pagamento delle ultime tre mensilità, fondata sul decreto ingiuntivo emesso nei confronti del datore di lavoro (nella specie, una concessionaria di automobili) e sull'esito infruttuoso sia dell’esecuzione mobiliare sia dell’intervento effettuato in un’esecuzione immobiliare.
La Corte d’Appello di Lecce, in riforma della decisione del primo Giudice, aveva accolto la domanda del lavoratore, osservando che la Società, benché fosse astrattamente suscettibile di fallimento, non avrebbe, in concreto, potuto essere dichiarata fallita per l'esiguo importo del credito, che non consentiva di promuovere la relativa procedura.
Ebbene, l’INPS si è rivolta alla Suprema Corte e ha assunto che la prova da parte del lavoratore che il proprio datore di lavoro non sia assoggettabile a procedura concorsuale per esiguità della esposizione debitoria deve essere fornita attraverso il provvedimento reso dal competente Tribunale Fallimentare, all'esito della relativa istruttoria per l’accertamento dell'ammontare complessivo dei debiti, sicché erroneamente il giudice dell'appello aveva considerato il limite di fallibilità alla stregua del solo credito del lavoratore istante.
I Massimi giudici rilevano che la ratio della predetta disposizione consiste nell’esclusione della procedura di liquidazione concorsuale in ragione di una soglia di rilevanza dell’insolvenza riferita all'indebitamento complessivo della impresa e non alla posizione del creditore istante per il fallimento. Il ragionamento seguito nella sentenza impugnata porterebbe, invece, ad affermare ovvero a escludere l'intervento dell'INPS, non già in ragione della situazione dell'impresa, ma in relazione a singole posizioni creditorie, senza alcuna verifica effettiva della fallibilità dell'imprenditore. Consentirebbe, inoltre, al titolare di un credito d’importo inferiore alla soglia di fallibilità di optare per la richiesta della dichiarazione di fallimento oppure per l'intervento della garanzia dell'INPS, senza alcuna preliminare verifica in sede prefallimentare.
Ne deriva che il ricorso dell’INPS è fondato, in quanto si deve ritenere che: