18 marzo 2022

Compenso professionale. Parcella pro forma non è prova

Cassazione civile, ordinanza depositata il 17 marzo 2022

Autore: Paola Mauro
Nel giudizio intrapreso per il pagamento del compenso, il professionista non può provare di aver ricevuto dal cliente soltanto un parte di quanto a lui spettante per l’opera prestata avvalendosi della sola parcella pro forma, posto che si tratta di un documento da lui stesso predisposto.

È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 8770/2022 della Corte di Cassazione (Sez. VI-II civ.), depositata il 17 marzo.

Il caso - Il giudizio riguarda un ingegnere che ha sostenuto di non aver ottenuto da una Cooperativa edilizia tutto l’importo a lui spettante, a titolo di compenso, per la realizzazione di 38 alloggi.

A fronte della prova del pagamento di una consistente somma da parte della suddetta società (226.000 euro), nel giudizio di primo grado il professionista ha ottenuto il riconoscimento in proprio favore di ulteriori 36.700 euro, quale compenso residuo dovuto.

Il giudizio di secondo grado, invece, ha visto prevalere le ragioni della Cooperativa.

Infatti, la Corte d’Appello di Palermo ha ritenuto che l’ingegnere non avesse dato prova dell’esistenza di un credito residuo per l’attività professionale da lui prestata.

La Corte di merito ha motivato la sentenza di riforma della decisione di prime cure osservando che l’appaltatore che chiede il proprio compenso ha l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, quali elementi essenziali ai fini della valutazione della congruità dei compensi corrisposti; elementi che, nel caso di specie, sono rimasti – secondo l’opinione della Corte di merito – «del tutto sconosciuti».

Il Giudice d’appello ha aggiunto che non possono costituire prove idonee a dimostrare l’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte, e, di conseguenza, nessuna prova in ordine alla sussistenza del credito residuo può desumersi dalla c.d. parcella pro forma.

Ebbene, gli argomenti spesi dalla Corte di merito per motivare il rigetto della domanda del professionista hanno trovato l’avallo della Corte di legittimità.

Ragioni della decisione - Gli Ermellini, escluso il vizio di motivazione lamentato dal ricorrente, hanno ribadito (Cass. Sez. II n. 5987/1994, n. 2176/1997, n. 9254/2006 e n. 21522/2019) che:
  • nei giudizi aventi per oggetto l'accertamento di un credito vantato da un professionista, relativamente al compenso dovutogli per le prestazioni professionali eseguite in favore del cliente, la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico e dell'effettivo espletamento dello stesso incombe al professionista, anche nel particolare caso in cui il giudizio si svolga a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo intimato da quest'ultimo.
  • in particolare, al professionista, il quale assuma di essere creditore per attività professionale prestata a favore del cliente, incombe l'onere di dimostrare non solo che l'opera è stata posta in essere, ma anche l'entità delle prestazioni, al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, cosicché la parcella predisposta dal medesimo è priva di rilevanza probatoria nell’ordinario giudizio di cognizione.
In applicazioni di questi principi, il Supremo Collegio ha definitivamente respinto la pretesa dell’ingegnere in questione, il quale, di conseguenza, è stato condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, con applicazione del c.d. “raddoppio” del contributo unificato (art. 13-quater co. 1 TUSG).
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