In tema di reati tributari, la delega a operare sul conto corrente bancario intestato a una Società, che non sia un mero “schermo” dell’indagato, non legittima il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei suoi confronti. In questo caso, infatti, se la delega è esclusiva espressione di funzioni amministrative per conto terzi, non è lecito presumere che le somme sono nella “disponibilità” del delegato.
È quanto emerge dalla lettura della
sentenza n. 20262/2022 della Corte di Cassazione (Sez. III pen.), depositata il 25 maggio.
Il caso - La Società ricorrente (una S.r.l.s.) ha ottenuto dalla Suprema Corte l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Lecce, che aveva confermato il provvedimento di sequestro disposto dal GIP in relazione a due conti correnti bancari intestati alla persona giuridica, ma ritenuti nella disponibilità dell’indagato.
Il Tribunale salentino, in particolare, ha equiparato la società in questione a un mero “schermo giuridico” impiegato dal suo legale rappresentante per i propri fraudolenti propositi, ma, al riguardo, il Collegio di legittimità ha riscontrato l’errore di giudizio denunciato dall’ente nel suo ricorso per cassazione.
Ragioni della decisione - La società ricorrente ha contestato di essere di un mero “schermo” dell’indagato e, a sostegno di tale tesi, ha richiamato i principi espressi da
Cass. Sez. III pen. n. 15047/2021.
Ebbene, gli Ermellini hanno ritenuto corretto il richiamo, evidenziando che la pronuncia in questione ha chiarito che, se da una parte è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, dall’altra il provvedimento cautelare reale funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’ente, a eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti
solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (Cass. Sez. U. n. 10561/2014).
Tale principio – aggiungono gli Ermellini – deve ritenersi operante sia allorquando l’ente coinvolto nel sequestro benefici direttamente della commissione dei reati tributari di riferimento, essendo essi stessi commessi dal corrispondente rappresentante legale, sia nel caso in cui esso non presenti alcuna correlazione con tali reati.
Nel caso in esame, pertanto, i Massimi giudici sono giunti alla conclusione di non poter ritenere sufficiente, ai fini della eseguibilità del sequestro, «che i conti correnti siano gestiti dal legale rappresentante o che su di essi quest’ultimo abbia la delega a operare, trattandosi di circostanza del tutto normale nella gestione di una società. Ciò che rileva è che, da un lato, la società sia un mero schermo», dall’altro che sulle somme di denaro l’indagato eserciti una signoria di fatto
1, in forza della quale «egli può determinare autonomamente la destinazione, l’impiego e il godimento del bene stesso, a prescindere dagli interessi della società; non è sufficiente la titolarità dei conti correnti o l’esistenza della delega nell’ambito delle funzioni gestorie ricoperte dal rappresentante legale della società, se la delega risulti esercitata entro i limiti degli interessi esclusivi della stessa società».
In applicazione di tali principi, il Collegio di legittimità ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviato, per l’effetto, la causa al Tribunale di Lecce per nuovo giudizio.
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1Ai fini della confisca per equivalente, rileva la disponibilità del bene intesa come relazione effettuale del condannato col bene, connotata dall'esercizio di poteri di fatto, corrispondenti al contenuto del diritto di proprietà, in forza dei quali egli può determinare autonomamente la destinazione, l'impiego e il godimento del bene stesso (Cass. Sez. III n. 15047/2021). La disponibilità coincide, cioè, con la signoria di fatto sulla “res”, indipendentemente e al di fuori delle categorie delineate dal diritto privato: e se ad una di tali categorie vuol farsi proprio riferimento, il richiamo più appropriato risulta essere quello riferito al possesso nella definizione che ne da' l'art. 1140 cod. civ. (Cass. Sez. I n. 11732/2005). In altri termini la nozione di "disponibilità" coincide non con la nozione civilistica di "proprietà” ma con quella del "possesso": essa in tal modo ricomprende tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (Cass. Sez. III n. 15210 /2012), e si estrinseca in una relazione effettuale con il bene, connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (Cass. Sez. II n. 22153/2013).