4 ottobre 2022

Contributi alla Gestione Separata per professionisti iscritti in albi o elenchi

Cassazione lavoro, ordinanza depositata il 3 ottobre 2022

Autore: Paola Mauro
Per l’avvocato l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata è collegato all’abitualità della prestazione. Da ciò consegue che, se il professionista si è opposto al provvedimento d’iscrizione d’ufficio da parte dell’INPS, il giudice non può ancorare la decisione alla sola produzione di un reddito superiore alla soglia di 5.000 euro.

È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 28576/2022 della Corte di Cassazione (Sez. VI-L), depositata il 3 ottobre.

Il caso - L’INPS ha chiesto a un’avvocatessa il pagamento dei contributi inerenti alla Gestione Separata per l’anno 2010, sul presupposto dell’assenza, in capo alla predetta, dell’obbligo di iscriversi presso la Cassa Nazionale di previdenza e assistenza Forense. Ne è scaturito un contenzioso che, in esito al secondo grado di giudizio, si è chiuso con una sentenza sfavorevole alla professionista, la quale, pertanto, ha rivolto ricorso alla Corte di legittimità.

Esattamente, la sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, è stata censurata nella parte in cui ha escluso che l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata richiedesse alcun accertamento ulteriore, oltre a quello della percezione di un reddito annuo superiore a 5.000 euro (art. 44 D.L. n. 269/03, conv. n L. n. 326/2003).

La Suprema Corte ha accolto il ricorso.

Ragioni della decisione - In breve, gli Ermellini, nella sentenza citata sopra, affermano che l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione Separata da parte di un soggetto iscritto a un Albo o Elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo a un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della Cassa di riferimento.

La produzione di un reddito superiore alla soglia di 5.000 euro costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa far sorgere l’obbligo d’iscrizione presso la medesima Gestione, «restando invece normativamente irrilevante» – scrive la S.C. - «qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità».

Detto in altri termini, è dirimente il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale oppure no.

Ebbene, quanto al requisito dell’abitualità, gli Ermellini hanno puntualizzato che esso può essere ricavato da presunzioni, ad esempio, l’iscrizione all’Albo, l’apertura della partita IVA e l’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività.

In questo quadro – chiosano gli Ermellini – s’è detto che «la percezione da parte di un professionista di un reddito annuo di importo inferiore a euro 5.000,00 può semmai rilevare quale indizio - da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con abitualità» (sul punto v. Cass. n. 4419/2021).

Perciò il Supremo Collegio ha reputato errata la decisione assunta dalla Corte di merito – si riporta testualmente -, «che si è limitata ad ancorare l’obbligo di iscrizione al raggiungimento della soglia di 5.000,00 euro».

In virtù di tale rilievo, gli Ermellini hanno accolto il ricorso della professionista e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per la rinnovazione del giudizio.
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