Il socio della S.a.s. può opporre il “beneficium excussionis” sin dalla notifica della cartella. L’iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del "beneficium excussionis" è illegittima e tale illegittimità, riguardando il presupposto indefettibile della predisposizione e della notificazione della cartella, si riverbera su quest'ultima quale vizio proprio della stessa.
È quanto emerge dalla lettura della
sentenza n. 25750/2022 della Corte di Cassazione (Sez. V civ.), depositata il 1° settembre.
Il caso - Gli Ermellini hanno rigettato un ricorso dell’Agenzia delle Entrate, volto all’annullamento della decisione di seconde cure relativa a una cartella di pagamento notificata alla socia accomandante di una S.a.s., a seguito di iscrizione a ruolo per debiti portati da avviso di accertamento emesso nei confronti dell’ente.
La C.T.R. ha motivato la decisione di pro-contribuente spiegando che la socia accomandante, titolare di una quota pari al 5% del capitale sociale, era obbligata per i debiti sociali secondo il disposto normativo di cui agli artt. 2304 e 2313 cod. civ. e, in particolare, nei limiti della sua quota, pari al 5% del capitale sociale.
A detta dell’Agenzia delle Entrate, però, il beneficio di preventiva escussione del patrimonio societario e la limitazione di responsabilità nei limiti della quota rilevano nella fase esecutiva, ma non è impedito al creditore di precostituirsi un titolo nei confronti del socio per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di questo e poter agire esecutivamente senza indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente; e comunque la C.T.R., anziché annullare in toto la cartella, avrebbe potuto limitare la responsabilità della socia alla quota di sua partecipazione al capitale sociale.
Ebbene, il Supremo Collegio ha aderito alla statuizione della sentenza impugnata.
L’orientamento seguito - I Massimi giudici hanno, in particolare, rilevato che la Corte costituzione, con la
sentenza n. 114 del 2018, ha ritenuto corretta l'assimilazione della cartella di pagamento all'atto di precetto e dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall'art. 16 del D.lgs. n. 46 del 1999), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, è ammessa l'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.
Sul punto si sono poi espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (
sent. n. 28709 del 2020), che hanno recepito quest'ultimo orientamento, osservando che, in tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla Società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento alla stessa notificato e da questa non impugnato, il socio può opporsi alla cartella notificatagli
eccependo (tra l'altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.
In tal caso:
- se si tratta di società semplice (o irregolare), incombe sul socio l'onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale;
- se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l'Amministrazione creditrice a dover provare l'insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l'insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata).
Ne consegue che:
- se l'Amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto;
- se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto;
- se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti.
- se nessuna prova si riesce a dare, l'applicazione della regola suppletiva posta dall'art. 2697 cod. civ. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l'onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario.
Nel caso di specie, pertanto, il ricorso erariale non ha potuto trovare accoglimento, posto che – scrive il Supremo Collegio - l’Agenzia delle Entrate
«non ha mai assunto l'onere di dimostrare l'incapienza patrimoniale della società, presupposto dell'azione nei confronti della socia».